Roberto Minervini: “Il mio film contro la guerra dedicato a mia madre che non c’è più. Temo l’America di Trump, progetto un film in Italia”

Roberto Minervini ha vinto ieri il premio alla regia per I dannati, film ambientato durante la guerra civile americana ora nelle sale italiane (con Lucky Red).

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Quanto è importante questo premio per lei e per il film?

“È importante per me perché è un premio che va alla regia, cioè direttamente alla visione e al linguaggio di questo film, che racconta qualcosa che tocca da vicino la condizione della guerra in cui tutti noi siamo coinvolti. E poi è importante perché il film è in sala. E certamente quello d’autore è un cinema che ha bisogno anche di spinte, riconoscimenti sostegni, da tutte le parti. E’ una questione persino di sopravvivenza a volte. Quindi speriamo che questo premio e la risposta molto molto entusiasta qui a Cannes dia una spinta al pubblico a venirlo a vedere”.

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C’è una dedica speciale?

“Sul palco non l’ho fatta, perché si tratta di una cosa molto personale. Mia madre se ne è andata pochi mesi fa, aveva seguito tutto il percorso del film. Il fatto che tutta la mia famiglia che è stata così coinvolta, fino ai miei figli che facevano gli assistenti di produzione, di sicuro in questo film c’è un pezzo delle persone che amo”.

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Voi siete una famiglia artistica itinerante, come riuscite a bilanciare tutto?

“Noi viaggiamo sempre tutti insieme, condividiamo il progetto dalla genesi fino alla realizzazione. Con I figli abbiamo preso delle vacanze a scuola per far sì che fossero con noi. Anche la scuola era coinvolta in questa avventura, ed è importante. Per noi non esiste una grossa differenza tra cinema e vita, anzi è un cinema-vita quello che faccio e quindi questo vivere tutti insieme, fare film in modo esperienziale dall’inizio fino alla fine, è fondamentale. Ed è un terreno formativo per tutti noi”.

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Cosa del suo film ha conquistato il pubblico a Cannes e soprattutto la giuria guidata da Xavier Dolan?

“Gli spettatori stanno rispondendo in modo incredibile, in modo altamente emotivo, commosso. Posso parafrasare le parole di Xavier Dolan che ha detto che mai prima lui aveva visto un film, un film che potesse raccontare così tanto su qualcosa che tocca tutti, da vicino in modo universale, andando quasi per sottrazione, per omissione. Evitando qualsiasi spettacolarizzazione della guerra. E mi ha detto anche che sapevano dal primo giorno che sarebbe stato difficile non dare un premio questo film”.

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Quando ha capito che voleva fare “I dannati”?

“Ci pensavo da anni, ma il 2020 è stato cruciale. Da tempo seguivo i tumulti interni in America, che poi hanno portato anche al quasi a colpo di stato nel gennaio 2020. E in quel momento ho capito che era il momento che il film dovesse trovare la luce. Era per me il momento di fare una pausa e guardare a ritroso, andare a capire a scavare le radici di questa totale frammentazione e fragilità della democrazia americana. E fare un discorso che partisse da lì dentro, dagli individui, evitando la politicizzazione del dibattito, ripartendo da qualcosa di molto più viscerale, umano, per andare a unire i puntini tra presente e passato”.

Il film uscirà in America. Lei ha detto che è pessimista e che Trump vincerà le elezioni. Cosa potrà fare il suo film?

“Non penso smuoverà niente nel presente. Il ritorno di Trump alla presidenza è prevedibile e definito. Vale la pena di ricordare quello che aveva detto dopo la sconfitta con Biden: “Noi torneremo, ed essendo l’ultimo mandato, non dovremo niente a nessuno. E fletteremo i muscoli. Quindi ci aspetta un quadriennio duro, tosto. Ma forse proprio durante le sofferenze inevitabili che ci causerà una Presidenza che sa di regime totalitario e anche ai regimi totalitari si ispira, questo film potrà ricordare alle persone che la storia non va dimenticati. Che il passato ci fa riflettere e ci insegna che certe cose se non sono comprese in tempo sono destinate a ripetersi”

Ha già in mente un nuovo progetto?

“Ci sto ragionando. Certo che mi piacerebbe raccontarmi attraverso le memorie. Memorie della mia giovinezza e dell’Italia di provincia. Sto capendo I punti di raccordo tra me per quel che sono diventato, com’ero allora, in quale Italia mi sono forgiato e dove siamo oggi. Vorrei quindi lavorare con la finzione come drammatizzazione di qualcosa di fondamentalmente vero che esiste dentro di me”.Per lei un ritorno, per I suoi figli la scoperta dell’Italia. “Per loro sarà una scoperta, così come una nuova era. Io sono dovuto partire dall’Italia per forza, dovevo cercare lavoro, loro partono da New York guidati dai genitori, cosa che darà loro quella sicurezza che io forse non ho avuto. Però è importante che capiscano che quando si fanno le valigie si parte, ma non ci si allontana da qualcosa, ma lo si porta con se”.

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