Le missioni del Mossad

Il Mossad – “Istituto centrale per l’intelligence e le operazioni special” – è una delle tre principali organizzazioni di intelligence di Israele, insieme all’Aman, l’intelligence militare, e lo Shin Bet, la sicurezza interna. Il Mossad, considerata una delle più grandi agenzie di spionaggio al mondo, si occupa di raccolta di informazioni estere, analisi di intelligence e operazioni segrete. Nato formalmente nel dicembre 1949 come “Istituto per il Coordinamento”, il Mossad è stato il successore del braccio di intelligence dell’Haganah, la forza militare ebraica in Palestina durante il periodo del mandato britannico. Il Mossad e i suoi agenti hanno condotto operazioni sotto copertura contro i nemici di Israele e gli ex criminali di guerra nazisti che vivevano all’estero. L’assassinio del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ucciso in piena notte, in un raid a Teheran, è l’ultima missione di una lunga serie. Storie di Storia vi racconta con l’analista strategico Gianluca Ansalone, in due puntate, alcune delle più importanti imprese dell’agenzia. Buona lettura.

LA STORIA

OPERAZIONI

DEL MOSSAD / 1

Di Gianluca Ansalone (Analista strategico, Docente di Geopolitica al Campus Biomedico di Roma-Università di Roma Tor Vergata).

Il Colonnello delle SS

La cattura di Eichmann

La notizia che Adolf Eichmann era vivo giunge ai vertici del Mossad nel novembre del 1957. Eichmann, colonnello delle SS, aveva sovrinteso personalmente alla messa in atto della cosiddetta “soluzione finale”, il progetto di sterminio sistematico degli ebrei europei. Alla fine della guerra era riuscito però a sparire nel nulla. Voci lo davano al riparo in Egitto, in Thailandia, in Kuwait.

Un solerte giudice tedesco, Fritz Bauer, aveva però ricevuto una strana lettera dall’Argentina, vaga ma non delirante. Eichmann sembrava vivere in incognito a Buenos Aires. Quel procuratore non si fidava del Governo tedesco: avrebbe potuto chiedere l’estradizione e incriminarlo. Ma la Germania era un Paese ancora molto, troppo fragile. Si rivolse quindi al Mossad.

Già nel gennaio del 1958 per le strade di Buenos Aires una giovane agente del servizio segreto israeliano perlustrava e registrava qualsiasi movimento, qualsiasi angolo, tutti i negozi. In meno di tre mesi, sulle scrivanie del Mossad a Tel Aviv arrivarono rapporti pieni di dettagli: un indirizzo, un numero civico, la ricostruzione di rete di relazioni, ma soprattutto il nome fasullo che utilizzava Eichmann.

Fu su questo punto però che le operazioni si fermarono, sul più bello. Il nome, Francisco Schmidt, non corrispondeva minimamente alla fisionomia del ricercato numero 1. Il Mossad si preparava a comunicare al Primo Ministro Ben Gurion il proprio fallimento.

Ci vollero ben due anni per una svolta. Bauer, il solerte procuratore tedesco, ossessionato dalla sua missione di perseguire i gerarchi nazisti, volò in Israele e consegnò nuovi dettagli ai vertici dell’intelligence. L’errore era stato madornale, ma adesso la pista sembrava quella giusta.

Nel febbraio del 1960 gli agenti del Mossad tornano in Argentina, consapevoli del rischio che Eichmann nel frattempo avesse cambiato domicilio, città o perfino Paese. E invece no. Adolf Eichmann, che si faceva chiamare Ricardo Klement, si era solo spostato di qualche isolato.

A marzo del 1960, gli agenti lo fotografano e inviano il materiale a Tel Aviv. Ben Gurion non ebbe esitazioni: “Portatemi Eichmann, vivo o morto”. Lo voleva a Gerusalemme.

Il commando era composto da 12 uomini. O meglio, 11 agenti e un medico che avrebbe dovuto assistere Eichmann alla cattura. Bisognava attendere solo il momento giusto. Quel momento arrivò a maggio. L’Argentina, il 20 di quel mese, festeggia la propria indipendenza. Erano attese delegazioni da tutto il mondo, compresa quella israeliana guidata dall’allora Ministro della Pubblica Istruzione.

Al commando del Mossad non interessava nulla della presenza di un’Istituzione. A loro serviva solo un aereo per trasportare a Tel Aviv il criminale nazista. E interessava soprattutto non perdere l’occasione, ora che gli agenti avevano studiato nel minimo dettaglio il percorso che Klement faceva ogni singolo giorno, sempre lo stesso.

Erano i primi di maggio. Il 20 sembrava lontanissimo. Il Mossad aveva totale autonomia nella decisione e nelle modalità. L’obiettivo era stato fissato dal Primo Ministro in persona, bisognava portare a termine la missione.

Ecco perché il commando decide di intervenire presto ed agisce senza attendere, quando tutto era ormai pronto, l’11 maggio 1960. Quella sera Eichmann rincasava come sempre alla solita ora, scendendo dal solito autobus su una strada che porta ancora oggi il nome di Garibaldi, l’eroe dei due mondi. Un primo gruppo simula un guasto alla macchina. Il ricercato si avvicina dopo una richiesta di aiuto e in pochi secondi si ritrova legato mani e piedi e bendato. Un agente verifica al tatto la presenza di due cicatrici, una accanto all’ascella, l’altra sulla pancia. C’erano entrambe. Era lui.

Eichmann viene tenuto in prigionia in un appartamento per giorni.

Il 18 maggio 1960 decolla da Tel Aviv il volo di Stato della El Al che accompagnerà una nutrita delegazione israeliana alle celebrazioni per i 150 anni dell’indipendenza dell’Argentina.

Scalo a Roma, dove gli assistenti di volo vennero sostituiti da tre agenti del Mossad. Il volo atterrerà a Buenos Aires nel pomeriggio del 19 maggio. Il rientro era programmato per il giorno successivo, 20 maggio, a mezzanotte in punto.

Nell’appartamento che fungeva da base per le operazioni, Eichmann venne vestito da steward dell’El Al. Il piano prevedeva che lui fosse un operatore di volo malato e portato a bordo per riposare lungo tutta la rotta. Venne narcotizzato e reso praticamente irriconoscibile.

Le operazioni andarono avanti senza intoppi. Eichmann venne caricato su un’auto scura che attraversò la barriera della pista dell’aeroporto dopo i controlli di rito. Così per i membri del commando che si affrettarono ad andare al gate per l’imbarco fingendo di essere turisti distratti e in ritardo. Eichmann era ormai seduto in un posto di prima classe, al finestrino. Nella notte tra il 20 e il 21 maggio l’aereo El Al era già in volo verso Israele.

Fu Ben Gurion in persona ad informare il Parlamento e il mondo dell’operazione. L’11 aprile 1961 si aprì a Gerusalemme il processo al più crudele dei gerarchi nazisti, alla presenza costante in aula di centodieci sopravvissuti all’Olocausto.

Il 15 dicembre 1961 Eichmann verrà condannato a morte.

La più incredibile storia di intelligenza con il nemico

L’Operazione “Damocle”

La caccia ai gerarchi nazisti andrà avanti per molti anni, tra fallimenti e successi, ad ogni latitudine.

Sarà uno dei tratti distintivi di molte operazioni coperte e spettacolari del Mossad. Fino quando Israele non conoscerà altri pericoli esistenziali, altre minacce. E il Mossad a quel punto sarà in grado di usare perfino i vecchi nemici.

Siamo nell’estate del 1962. In un caldo torrido, due agenti del servizio segreto israeliano bussano alla porta di una società di ingegneria a Madrid e chiedono di parlare con Otto Skorzeny.

Non uno qualsiasi. Skorzeny era un colonnello nazista che nel 1943 aveva partecipato alle operazioni per la liberazione di Benito Mussolini al Brennero. Si era distinto anche per aver addirittura rapito il figlio del re d’Ungheria.

Skorzeny era stato processato per crimini di guerra ma inspiegabilmente era uscito assolto da tutte le accuse. Libero.

E da uomo libero decise di trasferirsi e vivere nella Spagna di Francisco Franco.

I due che suonarono alla porta si presentarono come funzionari della NATO. L’ex colonnello austriaco ci mise poco a comprendere che erano due agenti del Mossad.

Uno dei due era stato parte del commando che aveva trionfalmente condotto Eichmann a Gerusalemme.

Iniziava così, con quell’incontro a Madrid, l’operazione Damocle.

Esattamente un anno prima, i servizi segreti avevano avvertito e documentato al Governo la volontà del Presidente egiziano Nasser di dotarsi di un poderoso arsenale missilistico. Per farlo l’Egitto stava reclutando scienziati e ingegneri tedeschi che avevano vestito i panni delle SS e lavorato alla macchina da guerra nazista.

Alcune fotografie scattate durante una parata militare al Cairo il 21 luglio 1961 mostravano un numero consistente di razzi “Al Zafir”, in arabo “Trionfatore”, e “Al-Quhair”, il Conquistatore.

Un mese dopo il direttore del Mossad riferì al Primo Ministro Ben Gurion che quei missili venivano costruiti con l’aiuto di scienziati tedeschi e che l’Egitto aveva intenzione di costruirne ben mille.

Molti decenni dopo fu un generale dell’Esercito israeliano in pensione a riferire che quelle stime erano forse esagerate e che quei missili potevano sì fare del male ma senza rappresentare necessariamente un pericolo imminente per lo Stato ebraico.

Tuttavia nel 1962 il tempo di riflettere non c’era. Bisognava soltanto agire.

Ben Gurion aveva una forte preoccupazione ma anche un obiettivo politico: non compromettere i fragili rapporti con Adenauer e la Germania Occidentale. L’operazione Damocle doveva essere discreta.

Si partì dagli avvertimenti. Alla periferia del Cairo c’era una fabbrica, conosciuta solo come 333, nella quale parti di missili venivano assemblati. Da lì partirono ed arrivarono alcune buste da lettera esplosive che uccisero operai e ingegneri sparsi tra Egitto e Germania.

Il Mossad aveva già preparato un elenco dettagliato degli scienziati. Andavano cercati ed eliminati uno ad uno.

Non tutte le operazioni andarono a buon fine. La polizia svizzera, ad esempio, arrestò i due agenti del servizio segreto israeliano impegnati a dare la caccia ad un esperto di esplosivi tedesco.

Il pezzo grosso, l’asso di cuori, era in quella lista il Colonnello Skorzeny. L’uomo che tra le fila naziste si era distinto per le sue missioni disperate e la sua dimestichezza con l’artiglieria. Era lui il ricercato numero 1.

Ma Skorzeny era troppo importante per essere eliminato istantaneamente.

I due agenti del Mossad che bussarono alla porta della società per cui lavorava a Madrid erano lì per proporgli un accordo, rimasto poi segreto per molti anni.

In cambio della sua collaborazione, Skorzeny non pretese denaro. Chiese che le sue memorie fossero tradotte in ebraico e pubblicate in Israele. E chiese ovviamente immunità e protezione.

Pochi mesi e grazie a quell’accordo cominciarono ad arrivare a Tel Aviv informazioni preziose sull’attività di scienziati tedeschi in Egitto. Ci fu perfino una lista dettagliata, con nomi, indirizzi e stato di avanzamento dei progetti seguiti.

Scienziati mediocri, missili obsoleti, programmi mal finanziati. Questo fu l’esito di mesi di captazioni e dossier riservati.

La paura di un pericolo imminente, di una “spada di Damocle” per l’appunto, si rivelò infondato. L’Egitto ben presto licenziò tutti gli ingegneri tedeschi per manifesta incompetenza.

Skorzeny pubblicherà in effetti le sue memorie dal titolo “Vivere pericolosamente”.

Il Mossad chiuse definitivamente l’operazione Damocle e con essa la più incredibile storia di intelligenza con il nemico.

L’amaro prezzo della sottovalutazione

La Guerra del Kippur

Una sera di ottobre del 1973 un agente segreto del Mossad di base a Londra riceve una telefonata inquietante.

All’altro capo del telefono c’è una talpa, la più preziosa nella rete. Un informatore con nome in codice “Angelo”, la cui identità è nota solo al direttore del Mossad e al Primo Ministro.

Angelo era al Cairo in quel momento. Le uniche parole che pronuncia sono: prodotti chimici.

Ogni agente viene addestrato non solo per imparare un linguaggio in codice ma per valutare istantaneamente la gravità di quel messaggio. E questo era il peggior messaggio che potesse essere trasmesso.

Ovviamente l’allarme non era in nessun modo legato ad agenti chimici o simili. Quella frase in codice voleva dire una sola cosa: guerra.

Un attacco militare contro Israele era atteso almeno dal 1967 quando, con la Guerra dei Sei Giorni, erano state annesse porzioni di territorio: il Sinai e Gaza dall’Egitto, il Golan dalla Siria, la Cisgiordania dalla Giordania.

Quest’ultima si era dimostrata tutto sommato un vicino razionale. I viaggi segreti in Israele di re Hussein erano frequenti, i rapporti con la premier Golda Meir buoni.

In Egitto il temibile Presidente Nasser era nel frattempo morto e il potere era passato nelle mani di Anwar Sadat, un leader che gli israeliani consideravano debole e poco risoluto.

I problemi principali arrivavano piuttosto dalla Siria. Da lì, in qualsiasi momento, Israele si aspettava un attacco militare su larga scala.

La procedura prevedeva che l’agente che aveva lanciato l’allarme, l’Angelo, si recasse istantaneamente a Londra, dove il Mossad disponeva di un piccolo quartier generale. I due si incontrarono il giorno successivo per ore, scambiandosi dettagli e fonti. Nel frattempo in Israele era iniziato lo Yom Kippur, la settimana santa di digiuno, preghiera ed espiazione.

Una ricorrenza tutt’oggi talmente seguita e sentita che per l’agente a Londra diventò difficile contattare Tel Aviv. Al telefono rispose, dopo molti tentativi, il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano: “prendi un catino di acqua fredda e metti a bagno i piedi” gli venne detto. Di nuovo un messaggio in codice, che tradotto significava: oggi entreremo in guerra.

Di lì a poco arrivò un telegramma ufficiale da Londra a Tel Aviv: il piano di guerra prevedeva che Egitto e Siria attacchino contemporaneamente dai due fronti nel tardo pomeriggio. Hanno l’appoggio di molti Stati arabi e dei sovietici, che comunque non parteciperanno all’operazione.

È a questo punto che qualcosa nel Mossad va. Qualcuno non si fida. Non si fida innanzitutto di Angelo, che in fondo era solo un informatore e avrebbe potuto perfino fare il doppio gioco. Non si fida dell’allarme, visto che il reparto di sorveglianza ed intercettazioni dell’esercito israeliano aveva registrato un movimento inusuale di truppe al confine con il Sinai ma non con una portata preoccupante. Qualcuno non si fidò nemmeno di un altro rapporto trasmesso da agenti operativi, che informavano di una partenza rocambolesca di diplomatici e militari russi dalla Siria e dall’Egitto con le loro famiglie. Fatto del tutto inusuale.

La riunione di emergenza tra le alte cariche dello Stato delle prime ore del mattino del 6 ottobre 1973 durò ore e si perse in analisi, retroscena e illazioni. In fondo Angelo aveva già lanciato lo stesso identico allarme nel 1972 e nel maggio del 1973. Si era poi corretto all’ultimo minuto ma la mobilitazione straordinaria delle forze armate e di sicurezza israeliane ai confini era costata decine di milioni di dollari.

Al termine della riunione fu deciso quindi di mobilitare solo una piccola parte dei riservisti e di non scagliare un attacco militare preventivo contro le truppe egiziane ormai ammassate sulle rive del Canale di Suez.

Erano le 14. Le sirene antiaeree ruppero il silenzio dello Yom Kippur. Israele era ufficialmente in guerra.

La guerra del Kippur si concluse ufficialmente il 23 ottobre. L’esercito israeliano aveva avuto la meglio sulle truppe siriane sulle alture del Golan e i carri armati israeliani erano arrivati addirittura a 30 km da Damasco.

A sud, gli egiziani avevano conquistato una striscia di terra lungo il canale di Suez ma erano circondati dalle forze armate israeliane.

Israele aveva formalmente vinto la guerra. Ma il prezzo di quella sottovalutazione e della scarsa preparazione era stato altissimo: quasi 3000 morti, più di 7500 feriti. Soprattutto, il mito della superiorità militare di Israele era scalfito. E il Mossad si sentiva responsabile.

Quella vicenda cambierà la storia del Medio Oriente, con Israele e Egitto che firmeranno di lì a qualche anno un trattato per la distensione dei rapporti, durato molti anni. La Siria, invece, si rifiutò di sedere al tavolo delle trattative.

Terminate le ostilità, il governo incaricò una Commissione d’inchiesta di indagare sui fallimenti e sulle responsabilità nei giorni che precedettero la guerra del Kippur. Alcuni vertici dell’esercito e dei servizi segreti vennero allontanati. Ma molto del dibattito, anche giornalistico, ruotò attorno alla figura e al mito dell’Angelo: spia? Talpa? O traditore?

Soltanto nel 2004, all’uscita del proprio libro di memorie, un alto generale dell’esercito israeliano arrivò nel corso di un’intervista a rivelare il nome dell’Angelo: si trattava di Ashraf Marwan.

Una rocambolesca vicenda spionistica

Ashraf Marwan e i destini del Medio Oriente

La storia di Ashraf Marwan è la storia della più rocambolesca vicenda spionistica del Medio Oriente. Un uomo dell’alta borghesia egiziana, che frequentava circoli e campi da tennis nell’Egitto di Gamal Abdel Nasser.

È in uno di questi tornei sportivi che il giovane incontra una ragazza, Moona, di cui si innamora. Il padre di Marwan è un alto ufficiale della guardia presidenziale; Moona è una delle due figlie del Presidente. Ci sono tutte le premesse per un matrimonio di sogno.

I due giovani si sposano nel luglio del 1966. Marwan inizia una brillante carriera pubblica, prima nei laboratori chimici del Governo, poi addirittura a capo di tutta la ricerca scientifica.

Ma Marwan era ambizioso, oltre che giovane ed aveva per sé altri programmi. Chiese al neo suocero di poter studiare a Londra, dove venne trasferito sotto stretta sorveglianza dell’Ambasciata egiziana.

La Londra della fine degli Anni ’60 pulsava di vita, di musica, di spettacoli. E Marwan faceva molta fatica a stare lontano dalle tentazioni. Nel giro di poco tempo dilapidò tutto il suo patrimonio e si mise alla ricerca di una nuova fonte di reddito. La trovò seducendo la moglie di uno sceicco del Kuwait, Suad, pronta ad aprire i cordoni della borsa in cambio della compagnia del giovane egiziano.

La relazione clandestina venne presto a galla e fece infuriare il Presidente Nasser, il quale, costretto peraltro a risarcire il patrimonio dello sceicco kuwaitiano, ordinò l’immediato rimpatrio di Marwan. Da quel momento, degradato ad una scrivania dell’ufficio presidenziale con mansioni minori, Marwn ebbe il permesso di viaggiare a Londra solo per il tempo strettamente necessario a sostenere gli esami.

Così accadde nel 1969. Giunto nella capitale inglese per andare all’Università, Marwan prese la classica decisione che gli cambierà la vita. Era furioso con il suocero che lo aveva umiliato, degradato fino a suggerire alla figlia di chiedere la separazione. Marwan meditò con calma la sua vendetta e giunto nel suo hotel di Londra chiamò il numero di telefono dell’Ambasciata israeliana.

Il suo colloquio durò pochissimi minuti: al funzionario diplomatico riferì di voler tradire l’Egitto e di voler aiutare Israele con notizia e informazioni. Dall’altro capo del telefono l’interlocutore non poté che pensare ad uno scherzo.

Tutto cambiò quando, dopo il terzo tentativo andato a vuoto, Marwan riuscì a mettersi in contatto con il numero uno del Mossad in Europa, a cui disse telefonicamente una sola frase secca: “Voglio lavorare per Israele”.

Di nuovo, il clima di sospetto, che è anche la cifra del lavoro dell’intelligence, occupò alcuni giorni di riflessioni. Sì, è vero, Marwan avrebbe potuto essere una tappa perfetta: era sposato con la figlia del Presidente egiziano, aveva accesso ad informazioni sensibili e privilegiate. Ma avrebbe anche potuto essere il classico doppiogiochista, un infiltrato chiamato a svolgere il proprio ruolo di “doppio informatore”.

L’unico modo per sciogliere i dubbi era incontrarlo personalmente. Sempre a Londra, dove il capo delle operazioni del Mossad si trovò di fronte un giovane elegante e spregiudicato. Parlò della guerra dei Sei Giorni del 1967, del suo rapporto controverso con il suocero. Ma presto arrivò al punto: Marwan bramava soprattutto soldi, parecchi soldi per sé stesso.

Prima di accogliere la sua richiesta, il Mossad pretese una prova delle sue intenzioni. A Marwan venne chiesto di recuperare un qualsiasi documento con classifica “segreto” e di consegnarlo agli israeliani.

Passarono poche settimane e Israele venne in possesso del documento di trascrizione di una conversazione avvenuta tra Nasser e i leader politici dell’Unione Sovietica, in cui l’Egitto chiedeva la fornitura di caccia militari a medio raggio, in grado di colpire Israele. Era una dimostrazione sbalorditiva e una prova senza appello.

Si poteva procedere al reclutamento e all’addestramento. Il primo passo da fare era attribuire alla fonte un nome in codice, l’Angelo per l’appunto. Venne preso un appartamento in affitto a Londra per gli appuntamenti, mentre i tecnici israeliani lo munirono di microspie e apparecchi elettronici.

La fase operativa poteva iniziare.

Pochi mesi dopo il Presidente egiziano e suocero di Marwan morì. Si aprì in Egitto una fase di profonda incertezza, con la guida affidata ad Anwar Sadat. Un uomo debole secondo gli israeliani, che non avrebbe resistito a lungo al potere. In effetti già nel maggio del 1971 si preparò un colpo di Stato, con diversi ex Ministri e deputati che progettavano di accoltellare il Presidente nel corso di una visita all’Università di Alessandria.

I cospiratori vennero scoperto qualche giorno prima dell’attentato pianificato e tra le persone che avevano aiutato a raccogliere voci, informazioni e piani c’era proprio Marwan.

Riconoscenza e gratitudine aprirono una strada insperata per la talpa israeliana.

Marwan venne nominato prima segretario dell’ufficio informazioni del Presidente e poi segretario particolare di Sadat. In quella veste, accompagnava il Presidente egiziano in tutte le sue missioni internazionali. Celebre fu un viaggio a Mosca alla fine del 1971, nel corso del quale il leader sovietico Breznev promise all’Egitto una fornitura di Mig-25, temibili aerei da caccia. Marwan fornì al Mossad non solo l’informazione ma perfino copia della minuta dell’incontro.

Il suo ruolo era diventato cruciale e insostituibile per Israele.

Fino alla vicenda legata allo scoppio della guerra del Kippur, nel 1973. Ancora una volta, le informazioni fornite dall’Angelo si erano rivelate autentiche, fondate. Certo, Marwan aveva sbagliato l’ora esatta dell’attacco – il tardo pomeriggio, quando invece l’offensiva partì all’ora di pranzo. E tanto bastò ad alcuni vertici del Mossad per rimettere in discussione la sua fedeltà e la sua credibilità.

Di certo Marwan non era una spia comune né facile da gestire. Dopo la guerra del Kippur continuò ad avere i suoi incarichi. Presenziò perfino allo storico incontro in Giordania tra il Segretario di Stato americano Henry Kissinger e re Hussein. Appuntamento che gli valse nuovi contatti e nuove opportunità, questa volta con la CIA.

Da allora Marwan prese a viaggiare spesso negli Stati Uniti, ufficialmente per sottoporsi a cure mediche, ma sempre ospite della CIA.

La noia, però, fu anche la sua condanna. Marwan non si accontentava, voleva fare di più. Avviò una serie di attività imprenditoriali a Londra e in Spagna, ebbe in effetti successo e fece molti soldi. Una carriera che lo assorbì completamente, soprattutto dopo la morte di Sadat, caduto per un attentato per mano di fanatici terroristi.

Fu allora che l’Angelo convocò i vertici del Mossad in un lussuoso albergo di Maiorca per comunicare la sua intenzione di abbandonare qualsiasi attività di collaborazione.

Il fiuto per gli affari di Marwan era incredibile. In pochi anni riuscì a comprare quote della squadra di calcio del Chelsea e a competere con il multimilionario Mohammed al Fayed, padre del futuro amante di Lady Diana, Dodi, per la proprietà dei famosi grandi magazzini Harrods.

Gli anni passarono e nel 2002 venne pubblicata proprio a Londra un’edizione del volume “Storia di Israele” a cura dello studioso Aharon Bregman. In quel libro si faceva riferimento ad una spia, che dall’Egitto avrebbe aiutato il Mossad e che veniva chiamato nel testo “il genero”.

Il libro non faceva il nome dell’Angelo ma la cosa irritò parecchio Marwan, che decise di dare un’intervista nel corso della quale bollò quei riferimenti come “deliri”.

Bregman, offeso, volle difendere il proprio lavoro e la propria reputazione e decise dunque di rivelare i dettagli e soprattutto il nome di quell’agente: Ashraf Marwan.

Marwan era vivo e da quel momento vulnerabile alla vendetta del Mukhabarat, il potente servizio segreto egiziano. Senza contare che quella rivelazione scatenò un putiferio politico e mediatico in Israele. I vertici militari e politici si scambiavano accuse reciproche, chi di incompetenza chi di irresponsabilità.

Il 27 giugno 2007 il corpo di Marwan venne trovato senza vita sul marciapiede, a pochi passi dal suo appartamento. Gli israeliani accusarono ovviamente i vertici militari egiziani dell’omicidio. Scotland Yard aprì un’inchiesta, poi archiviata anni dopo per mancanza di prove e di un colpevole.

CONTINUA TRA 15 GIORNI

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