Gli aumenti salariali della Pubblica Amministrazione

Autore della nota Francesco Scinetti

Il 6 novembre Aran e alcuni sindacati (CISL, CONFSAL, FLP e Confintesa Fp) hanno firmato una pre-intesa per il rinnovo del contratto 2022-2024 delle Funzioni centrali della Pubblica Amministrazione (PA), cioè dei dipendenti di ministeri, agenzie fiscali ed enti economici (circa 195 mila persone). CGIL e Uil non hanno firmato, lamentando risorse insufficienti. La pre-intesa, che ha raggiunto la maggioranza richiesta, pari al 54,4%, ora deve passare i controlli di rito alla Ragioneria generale dello Stato e alla Corte dei conti prima di arrivare alla firma definitiva e all’entrata in vigore.

I fondi per il contratto sono stati in larga parte stanziati dalle leggi di bilancio precedenti e dal decreto-legge “Anticipi” (rispettivamente 0,3 miliardi per il 2022, 1,5 miliardi per il 2023 e 5,5 miliardi per il 2024), cui si sono aggiunti altri 300 milioni per il 2024 previsti nel disegno di legge di bilancio per il 2025. Complessivamente l’aumento salariale rispetto al 2021 sarebbe del 6%.

Si tratta di aumenti inferiori all’aumento dei prezzi al consumo (16,4% cumulato nel 2022-2024) e che comportano quindi un taglio dei salari reali. Al netto dell’inflazione, infatti, il livello delle retribuzioni pubbliche sarà inferiore a quello registrato nel 1995

Al tempo stesso, è stata introdotta la possibilità di optare per una settimana lavorativa di 4 giorni (per nove ore di impegno quotidiano) e la possibilità di lavorare maggiormente da remoto superando il vincolo della presenza fisica prevalente in ufficio.

Sulla spinta delle nuove regole fiscali comunitarie che impongono agli Stati di predefinire la traiettoria della spesa pluriennale, l’art. 19 del disegno di legge di bilancio per il 2025 stanzia anche le risorse per le prossime due tornate contrattuali (5,55 miliardi sul triennio 2025-2027 per un aumento complessivo del 5,5% e 6,11 miliardi sul triennio 2028-2030 per un aumento complessivo del 6%). Questi aumenti si estenderanno anche al personale sanitario, tramite una quota destinata del fondo sanitario e agli enti territoriali che dovranno invece reperire le risorse dai propri bilanci. Si tratta di aumenti più o meno in linea con l’inflazione programmata e che garantirebbero una remunerazione reale su livelli leggermente superiori ai minimi registrati nel 2023.

Considerando gli aumenti nei redditi da lavoro dipendente stimati dal Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine, nel 2030 il rapporto tra le retribuzioni pubbliche e private raggiungerebbe un nuovo minimo storico dal 1995.

Nel complesso, queste tendenze suggeriscono un orientamento dello Stato verso un modello in cui le retribuzioni reali nel pubblico impiego si abbassano fortemente anche rispetto a quelle private, concedendo in cambio condizioni di lavoro più flessibili, come l’estensione dell’utilizzo dello smart working e la riduzione (facoltativa) della settimana lavorativa a quattro giorni. Sono riprese anche le assunzioni nel settore pubblico. Sembra si punti quindi più sui numeri che sulla qualità di chi lavora nel settore pubblico (salari bassi difficilmente attrarranno personale qualificato). C’è da chiedersi se questa sia la strategia migliore in un contesto in cui lo sviluppo tecnologico (compresa l’intelligenza artificiale) dovrebbe premiare chi punta sull’aumento della produttività, anche nel settore pubblico.

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