Walter Massa, presidente Arci: “Il campo largo responsabilità di tutti, partiti e associazioni. La Sardegna un’occasione, ora uniti sulla pace”

In un anno e poco più di presidenza nazionale di Arci, Walter Massa è salito sui palchi di Pd e M5s, ha dato il benvenuto tra i primi alla nomina alla segreteria dem di Elly Schlein, organizzato le prime grandi manifestazioni per la pace, ospitato l’intero arco costituzionale progressista nelle manifestazioni dell’associazione. Oggi lancerà la prima grande piazza nazionale per il cessate il fuoco in Palestina, a Roma il prossimo 9 marzo in piazza del Popolo, in attesa di partire con la delegazione italiana attesa la settimana prossima al valico di Rafah, alle porte di Gaza, insieme a parlamentari e altre associazioni.

In queste ore, però, la sua pare soprattutto una chiamata post vittoria in Sardegna alle forze progressiste con cui con l’associazione che guida dialoga da tempo: “un’occasione per rilanciare un’idea, – la definisce – e insieme farci capire anche qualcosa di più: il campo largo non è solo quello della coalizione politica, ma il terreno che abbiamo a disposizione per ricostruire un fronte alternativo alle politiche neoliberiste degli ultimi trent’anni di storia del nostro Paese, possibilmente con le idee chiare anche in tema di guerra, pace, diritti”.

In questo campo largo c’è spazio per tutti, lo dicono per primi i leader nazionali dei partiti del fronte, ma a farlo non può essere che la politica: è così?

“In parte. La verità è che il confine tra società civile e politica è sempre più labile, e che i concetti come destra e sinistra, che pur esistono e lo dimostrano ogni giorno le scelte di questo governo, vanno ridefiniti e attualizzati. Un’operazione che deve partire da radici e valori, ma a cui devono contribuire allo stesso modo politica e associazioni, partiti e impegno civile. Con radicalità nelle idee e nelle richieste, e la massima disponibilità a percorsi nuovi, oltre i personalismi di questi anni”.

Ma come si può raccogliere, il segnale arrivato dalla Sardegna? Con intese elettorali più organiche, con programmi, con nuove piattaforme?

“Iniziando a costruire un terreno comune di proposta assumendosi ognuno le proprie responsabilità: la politica, così come la società civile, le associazioni, il fronte dell’impegno in generale. Gli schemi elettorali, gli schieramenti, gli equilibri all’interno delle coalizioni sono percepiti ormai come pura fantapolitica, quasi un gioco: interessano più che altro gli addetti ai lavori, difficilmente muovono il grosso dei cittadini. Sinceramente, la vittoria di Alessandra Todde in Sardegna mi ha stupito solo in parte. Dal punto di vista privilegiato qual è un’associazione culturale di promozione sociale come Arci, oltre un milione di soci su tutto il territorio nazionale, in questo anno e mezzo ho sempre visto quella della strapotenza delle destre come semplice narrazione. In questo ha ragione Maurizio Landini, quella del governo non è, né è mai stata la maggioranza del Paese: il fatto che inizi a perdere colpi penso sia un segnale da cogliere con attenzione, tutti quanti”.

Come si costruisce, questo campo largo o giusto che sia, sul fronte della società civile?

“Continuando sulla strada del protagonismo ritrovato di questi ultimi anni, non sottraendosi alla responsabilità collettiva pubblica che chiamano questi tempi di cittadinanza attiva ritrovata, in cui sono aumentate sensibilità e riflessioni sui bisogni e i problemi della società. È politica anche quella, anche se non ci sono liste elettorali di mezzo”.

E in tutto questo cosa può fare, la politica dei partiti e di chi li guida, per andare in questa direzione?

“Un passo avanti in realtà l’ha già fatto, e grazie all’ostinazione di Elly Schlein, che con la candidatura di Todde in Sardegna ha fatto un passo indietro facendone fare insieme tre in avanti. Si era data come obiettivo quello di riprendere un dialogo progressista che andasse al di là del partito, esattamente quello che chiedono le basi dei partiti e che il Pd non ha fatto per tutti gli anni persi a pensare di dover decidere da solo, e l’ha portato avanti anche a costo di non essere apprezzata né all’interno, né all’esterno del suo mondo”.

A vedere la fatica che si sta già facendo con le candidature in Basilicata e Piemonte, però, la strada da fare è ancora tanta. Non si rischia di buttare via tutto, con tutti i distinguo di queste ore e le Europee all’orizzonte?

“I rischi ci sono, e mi auguro non si ritorni a cadere nell’eterno male della sinistra italiana, a prendere le decisioni sulla base di personalismi, antipatie o simpatie. L’occasione per ridare un senso alla parola sinistra, e quindi risposte concrete in tema di giustizia sociale e libertà, orizzonti ancora tutti da conquistare, c’è. Non va buttata. La Sardegna sarà l’incentivo per proseguire un cammino, spero: una sconfitta in Abruzzo del governo potrebbe diventare un punto di svolta, con una maggioranza che si divide ogni giorno incurante dei veri problemi del Paese. Che vara i decreti rave e fa manganellare i ragazzini”.

Da presidente dell’Arci, ma anche da genovese che ha vissuto la repressione della piazza al G8 del 2001, cosa ne pensa delle manganellate di Pisa?

“Allora, a mia domanda precisa sul perché di quanto successo, un alto funzionario della Questura di Genova mi disse che quella gestione dell’ordine pubblico nelle nostre strade, alla Diaz e a Bolzaneto fu portata avanti da chi semplicemente si sentiva protetto politicamente in tutto quello che avrebbe fatto. Le manganellate di Pisa, come le cariche di Genova nel 2001, sono frutto di un clima politico, di una linea di autoritarismo di governo che si respira a pieni polmoni, punisce ultimi e migranti, premia l’arroganza di chi da ministro fa fermare i treni per scendere prima e giustifica la rabbia di chi finisce per pestare dei ragazzini. Compito di un campo largo, deve anche essere quello di cambiarlo, questo clima”.

Arci e altre associazioni hanno provato a mettere d’accordo le forze del campo anche sul tema della guerra, in questa fase. Chi vi aspettate, in piazza il prossimo 9 marzo con voi? Non teme il rischio di nuove polemiche sulla “piattaforma” della convocazione della manifestazione?

“L’Italia è l’unico paese in Europa che non ha ancora ospitato una grande manifestazione nazionale per il cessate il fuoco in Palestina, anche questo dice molto della fase che stiamo vivendo. Sinceramente, sono stufo di discutere le virgole dei comunicati mentre a Gaza si contano oltre 30mila morti. È ignobile. In un contesto geopolitico in cui la guerra è tornata a essere l’unico strumento per risolvere le controversie internazionali, spero il 9 marzo si recuperi un po’ di quella umanità di cui abbiamo bisogno. Vediamo gli utili dei produttori di armi andare alle stelle, gli stati finanziare il riarmo, Macron che chiede si inizi a mandare truppe Nato in Ucraina. In piazza mi aspetto tutto il campo progressista, se non si scende in piazza tutti insieme in pieno percorso unitario ora, quando?”.

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