Armi e garanzie per allargarsi almeno in Cisgiordania: la missione di Netanyahu da Trump
LONDRA – Donald e Bibi nell’Ufficio Ovale della Casa Bianca: quello di oggi non è il primo incontro, ma può diventare uno dei più importanti. Fra loro si chiamano amichevolmente per nome, anzi, nel caso del premier israeliano con il diminutivo di Benjamin, usato da sostenitori e avversari nel suo Paese: ma per quanto alleati di ferro, non sono necessariamente d’accordo su tutto. Ecco l’agenda che Trump e Netanyahu si ritrovano a discutere stasera a Washington.
Cosa vuole Netanyahu
In primo luogo, il primo ministro di Israele vuole armi, di cui ha bisogno, dopo quasi un anno e mezzo di guerra su molteplici fronti, per garantire la sicurezza nazionale ed eventualmente per riprendere i conflitti a Gaza e nel Libano, o come deterrente per convincere i nemici a non minacciarlo più. Armi che il presidente Biden aveva parzialmente limitato per un breve periodo, poi di nuovo autorizzato, ma che la maggioranza democratica al Congresso aveva bloccato: ora sono i repubblicani ad avere la maggioranza sia alla Camera che al Senato nel Campidoglio Usa e Trump ha strada libera per ripristinare e ampliare gli aiuti militari allo Stato ebraico. Secondo indiscrezioni riportate dal Wall Street Journal, su questo punto Netanyahu ha già ottenuto quello che voleva: la Casa Bianca ha chiesto ai leader del Parlamento di approvare nuovi trasferimenti a Israele di bombe e altre armi pari a 1 miliardo di dollari. Le nuove forniture includono 4700 bombe da 450 chilogrammi l’una e bulldozer blindati costruiti dalla Caterpillar. Sono tutte ordinazioni per l’industria militare Usa, che così si rafforza, anche se destinate a Israele.
Cosa vuole Trump
Il presidente americano ha premesso: “Non ho alcuna garanzia che la pace a Gaza reggerà”. Ma anche se mette le mani avanti, dicono fonti americane, Trump vorrebbe il proseguimento del cessate il fuoco, almeno fino alla liberazione di tutti gli ostaggi israeliani. E su questo pure lui sembra avere già ottenuto qualcosa: a fine settimana, ha annunciato un portavoce di Netanyahu, Israele invierà una propria delegazione di negoziatori in Qatar “per discutere un cessate il fuoco esteso”, come previsto dagli accordi annunciati poche ore prima che Trump subentrasse a Biden lo scorso 21 gennaio. Successivamente, fa sapere il portavoce, il premier israeliano convocherà il “gabinetto di sicurezza” per discutere le posizioni da presentare nella seconda fase della trattativa. Quest’ultimo è l’interrogativo in sospeso: Netanyahu riuscirà a convincere i leader dei partiti di estrema destra della sua coalizione ad appoggiarlo fino in fondo? Finora lo hanno minacciato di dimettersi, se la guerra contro Hamas non riprende al più presto: e in tal caos per il premier si avvicina il rischio di elezioni anticipate in cui potrebbe perdere il posto.
Ma è possibile che, nel loro colloquio di oggi a Washington, Trump gli dia una carta in più da giocare: secondo il quotidiano Al Arabya, il presidente sarebbe pronto ad approvare l’annessione di parti della Cisgiordania a Israele. Non è chiaro in che tempi e in che termini. In un eventuale accordo di pace con i palestinesi, tutte le ipotesi di “soluzione dei due Stati” prevedono che una parte della Cisgiordania, quella contenente i più popolosi insediamenti ebraici, verrebbe annessa a Israele, in cambio di una fetta di territorio analoga data al futuro Stato di Palestina nel deserto del Negev, adiacente al sud della Cisgiordania. Ma naturalmente un conto sarebbe arrivare a un’annessione simile alla fine di un negoziato, un altro arrivarci quando il negoziato sui due Stati non è ancora nemmeno all’orizzonte. Peraltro, i leader dell’estrema destra israeliana vorrebbero annettere tutta la Cisgiordania, non soltanto una parte. e pure Gaza. Una dichiarazione di Trump potrebbe tuttavia essere presentata da Netanyahu come un passo significativo per cercare di mantenere viva la sua coalizione.
Il destino di Hamas
Una cosa su cui Donald e Bibi concordano è che Hamas non dovrà più governare Gaza. Apparentemente, sebbene non lo dicano a chiare lettere, sono di questo parere anche Egitto e Qatar, i due mediatori arabi della trattativa, e Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, gli sponsor che pagherebbero la ricostruzione di Gaza. Il punto è che Hamas appare ancora in controllo della Striscia, come si è visto nelle scene del rilascio degli ostaggi, nonostante quindici mesi di guerra in cui ha perso migliaia di militanti e tutti i suoi capi. E se anche Hamas fosse disposta a farsi da parte, almeno formalmente, per esempio durante una fase di transizione fino a nuove elezioni palestinesi da tenersi fra qualche anno, non è certo chi la sostituirebbe. L’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), l’organismo che governa il 20 per cento della Cisgiordania (e che governava Gaza fino a quando non ne è stato espulso da Hamas nel 2006), si candida a farlo, ma fino a questo momento Netanyahu non ha accettato di dare all’Anp un ruolo simile. In pubblico, almeno, perché dietro le quinte i servizi di sicurezza palestinesi hanno ripreso a collaborare attivamente con le forze israeliane nei raid contro gruppi radicali in Cisgiordania.
La diplomazia americana, in primis Steve Witkoff, l’emissario speciale di Trump per il Medio Oriente, già fautore dell’accordo sul cessate il fuoco di gennaio, è al lavoro per un compromesso.
Libano, Iran e sauditi
Sul tavolo dell’Ufficio Ovale non c’è soltanto Gaza. Trump e Netanyahu discuteranno anche del cessate il fuoco in Libano, di come rispondere al programma nucleare dell’Iran (il premier israeliano vorrebbe usare la forza già nel 2025, il presidente degli Stati Uniti sembra incerto se dargli via libera subito o tentare prima le pressioni politiche), e di uno storico accordo di pace fra Israele e Arabia Saudita, che completerebbe gli accordi di Abramo firmati da Israele con quattro Paesi arabi e mediati da Trump durante la sua prima amministrazione. Ma la pace fra Israele e sauditi, un colpo in grado di rilanciare politicamente Netanyahu dopo lo smacco dell’aggressione di Hamas del 7 ottobre 2023, sarebbe condizionata al rilancio del negoziato per dare uno Stato ai palestinesi: tutto si lega, insomma, nelle discussioni fra Donald e Bibi a Washington.
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