Mar Rosso, i parlamentari italiani in missione verso Rafah: “Il governo dica se siamo in guerra”
“Se la funzione della missione Aspides resta rigorosamente di osservazione e monitoraggio se ne possono comprendere le ragioni, ma adesso bisogna capire se siamo ancora dentro i termini di quel mandato”. Dopo l’abbattimento di un drone Houti, per la prima volta diretto verso una nave da guerra italiana, l’ex ministro Andrea Orlando, insieme ad altri tredici parlamentari di Pd, Avs e M5s in viaggio verso il valico di Rafah, chiede una riflessione urgente e al governo di riferire “immediatamente” su quanto successo.
“Il Parlamento deve vigilare sul rigoroso rispetto dei termini e delle condizioni perché qualsiasi sforamento dei paletti ha delle conseguenze anche di carattere costituzionale”, dice Orlando. L’Italia – ricorda – ripudia la guerra. E sta dimenticando quello che è sempre stato il suo ruolo storico di interlocutore privilegiato del mondo arabo. “Lo stiamo perdendo per ragioni molto precise: la non ottemperanza di un voto del Parlamento che nel 2014 impegnava l’Italia nel riconoscimento dello Stato palestinese e più recentemente di una mozione per il cessate il fuoco”.
È stata la richiesta di tutti gli operatori di agenzie umanitarie internazionali e ong che nelle ultime 24 ore si sono confrontati con i parlamentari italiani arrivati in Egitto per tentare di arrivare a Rafah, attraverso il Sinai. Obiettivo, scortare due camion di aiuti umanitari diretti al valico, sempre che li facciano entrare. Ma soprattutto capire, vedere con i propri occhi, poter testimoniare poi cosa stia succedendo. “Da qui – dice Orlando- è evidente il vuoto di iniziativa politica per intervenire a fronte di una situazione umanitaria disastrosa e per lavorare per una de-escalation. È evidente che quello che sta succedendo a Gaza ha dei riflessi su tutta la situazione generale”.
“Il ruolo dell’Italia è totalmente decontestualizzato rispetto alla drammaticità di quello che sta accadendo in questo contesto”, sostiene Angelo Bonelli di Avs, che più che di Mar Rosso, sostiene, l’Italia dovrebbe occuparsi di Gaza. Non è semplicemente una questione umanitaria, ma anche di sicurezza. “Non affrontare la gravissima situazione nella Striscia, dove il 15,6 per cento dei bambini è ormai a rischio malnutrizione, espone tutta l’area a rischio destabilizzazione. I funzionari dell’Unrwa lo hanno spiegato in maniera molto chiara. Se come auspicato da Israele l’agenzia venisse cancellata, quel vuoto gigantesco sarebbe riempito da formazioni estremiste e fondamentaliste”, aggiunge.
“Probabilmente in Italia non si sta comprendendo la dimensione di quanto stia succedendo qui”, sottolinea Nicola Fratoianni. “Il governo Meloni – sottolinea – ha la responsabilità di continuare ad esercitare ipocrisia, di chi da un lato dice giustamente di essere per due Stati e due popoli, dall’altra non riconosce lo Stato palestinese, dice che serve un cessate il fuoco ma si limita a fare generici appelli alla responsabilità per il governo Netanyahu, che è il principale ostacolo alla pace”. La rapida escalation nel Mar Rosso è la prova ulteriore. “Il governo dica chiaramente se siamo in guerra. E in caso affermativo con chi e perché. Per noi sarebbe una prospettiva inaccettabile”.
“Per me lì non ci dovevamo proprio stare dall’inizio”, dice Stefania Ascari del Movimento Cinque Stelle. “Non è questa l’iniziativa diplomatica necessaria per costruire una de-escalation. La situazione catastrofica lo impone”.
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