Trump e gli attacchi alla disabilità: non restiamo in silenzio
Qualche giorno fa, negli Stati Uniti, un incidente aereo: collisione fra due velivoli, morte le 67 persone a bordo. Il primo incidente di questo genere, dicono, in 26 anni. Il presidente Trump, nella prima intervista, invece di sostenere le famiglie che hanno subito questa perdita, si è subito premurato di trovare un colpevole attaccando direttamente la politica di inclusione della FAA (la Federal Aviation Administration, ndr), che comprende persone con disabilità intellettive, problemi psichiatrici e altre forme di disabilità, lasciando intendere che questa fosse la causa principale del disastro.
Un fulmine a ciel sereno? Mica tanto, se si fa riferimento all’atto di Governo emanato qualche giorno prima del disastro, il 20 gennaio, titolato “Ending Radical And Wasteful Government DEI Programs And Preferencing“, letteralmente “Porre fine ai programmi e alle preferenze governative radicali e dispendiose dei DEI” dove “DEI” sta per diversity, equity, inclusion, and accessibility.
La cessazione di tutti i programmi
In pratica il Presidente ha dichiarato la cessazione di tutti i programmi di inclusione, dichiarandoli illegali e immorali, ordinando il licenziamento dei Chief Diversity Officers (l’equivalente dei nostri Disability Manager) e la cessazione immediata di qualsiasi programma ispirato a questo tipo di politiche. Di fatto, ha dato il via a una discriminazione legalizzata, rispetto alla quale non possiamo rimanere in silenzio e non dobbiamo abituarci, soprattutto considerando il peso politico e culturale che gli Stati Uniti esprimono su tutta la società occidentale e non solo.
Cancellare la storia di battaglie e conquiste
Un atto di una gravità estrema, passato sotto silenzio. Ma che fa parte di una strategia evidentemente ben concertata: rimuovere in un minuto i programmi di diversità e inclusione cancellando una storia fatta di battaglie e conquiste; costruire un clima di sfiducia nei confronti delle persone con disabilità e verso le minoranze; emarginare all’interno della società queste persone, riportandoci a tempi che pensavamo di aver superato. In questo modo il potere toglie spazi di autodeterminazione, lo stiamo vedendo anche per quanto riguarda l’identità di genere.
Una narrazione costruita granello dopo granello
Il Presidente non è nuovo a questo tipo di discriminazione: oltre agli attacchi abilisti rivolti all’ex presidente Biden, ricordiamo quando già 8 anni fa Meryl Streep, in un suo discorso ai Golden Globe, con le lacrime agli occhi, sottolineava come Trump si fosse permesso di scimmiottare un cronista con disabilità (qui trovate il filmato) per invalidare quanto aveva scritto nel suo articolo. E, come sappiamo, gli episodi sono purtroppo ben più numerosi: una narrazione si costruisce passo dopo passo, granello dopo granello, fino a quando, poi, diventa la norma. Per questo motivo il silenzio non può e non deve essere la risposta. Al contrario, punto su punto, colpo su colpo, dobbiamo affermare che tutto questo è grave, inammissibile, dannoso per tutti noi.
Prima di tutto persone
Crediamo che ci sia più di uno spunto di riflessione su questa strategia. Lisa Noja, nella sua lettera al Foglio, sottolinea le politiche di inclusione lavorativa. Ci permettiamo di andare oltre. Qui si sta emarginando in maniera plateale un’intera fetta di popolazione non solo nel lavoro, ma nella considerazione generale delle loro abilità, nel loro essere persone prima che persone con disabilità, considerandole quindi “qualcosa di meno”.
Qualche giorno fa, nel giorno della Memoria, la nostra Presidente ha ricordato la strategia nazista rispetto alle nostre persone, che sono state discriminate, eliminate, sottoposte a sevizie e torture, in quanto esseri di serie B o forse Z o forse neanche esseri umani.
Per un mondo equo e inclusivo
Ci uniamo convintamente, dunque, all’appello delle Associazioni Coordown e Anffas, che hanno sottolineato come sia necessario resistere a questi attacchi per continuare a mantenere un mondo più inclusivo ed equo. I passi, semmai, dobbiamo farli in avanti, non indietro. Se non cominciamo a far sentire la nostra voce, se non ci opponiamo con tutte le nostre forze a questa narrazione, brutti tempi ci attendono. Non possiamo pensare che il silenzio sia una risposta congrua a questo attacco diretto fatto dalla prima carica di uno dei paesi più potenti e, dunque, influenti del mondo.
Eppure è il silenzio che vediamo intorno a noi, con qualche sporadica voce che si alza subito sommersa dalla marea.
Non facciamo, di nuovo, questo errore. Agiamo subito, perché dopo potrebbe essere troppo tardi.
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