Ora è ansia da Abruzzo: Meloni torna in Italia e corre da Marsilio
TORONTO – Il sabato notte di Toronto se lo prendono i manifestanti a favore della Palestina. Assediano la galleria d’arte dove centinaia di italo-canadesi attendono invano l’arrivo di Giorgia Meloni. Alla fine, dopo due ore di snervante attesa, Justin Trudeau annulla l’evento. La premier si avvolge nel piumino bianco e corre all’aeroporto. Deve tornare in Italia. Precipitarsi in Abruzzo. Cercare di difendere il governatore uscente, un suo fedelissimo inaspettatamente a rischio sconfitta. Deve evitare un nuovo tonfo, dopo quello sardo. E raddrizzare, soprattutto, alcuni sondaggi. Li legge sempre con molta attenzione. Li pesa. Avverte scricchiolii, i primi da oltre un anno. E ha paura che i nemici, tutti i suoi nemici, stiano davvero iniziando a saldarsi per metterla in crisi.
È ansia da Abruzzo: Meloni corre da Marco Marsilio
Dopo Usa e Canada
La missione negli Stati Uniti è andata bene, quella in Canada un po’ meno. La scelta di evitare il punto stampa a Washington le ha garantito le immagini con Biden sui tg nazionali, senza scomode domande — rimandate al giorno seguente — sullo scontro con Sergio Mattarella. A Toronto, come detto, è stato invece il tempo delle risposte e delle polemiche. All’estero, comunque, è sempre più semplice che in patria. E lo è soprattutto dopo la sconfitta in Sardegna. Una regione persa, la prima. Con il rischio che non sia l’ultima della stagione.
L’Abruzzo e i timori
Ecco, se c’è una battaglia a cui tiene la presidente del Consiglio è proprio quella delle Regionali. In Abruzzo si gioca una fetta non irrilevante del suo prossimo futuro. È un territorio su cui il potere di Fratelli d’Italia è stato esercitato per cinque anni, ma gli ultimi numeri riservati in possesso di via della Scrofa non sono entusiasmanti. La popolarità di Marco Marsilio, un meloniano doc, va dimostrata nelle urne. Per questo, Meloni raggiungerà Pescara già domani, per un comizio con Matteo Salvini e Antonio Tajani. Deve lanciare un segnale. Ma per farlo, rischia di politicizzare ancora di più questo passaggio locale: non è detto che sia un bene, visto il precedente della Sardegna. E poi, il “campo largo” abruzzese è schierato al gran completo. E i leghisti potrebbero cercare di assestarle un altro colpo per indebolirla ulteriormente. Certo, in questo caso non è possibile il voto disgiunto. Ma il sospetto, a Palazzo Chigi, è che il vicepremier possa essere tentato dalla strategia del logoramento, anche a costo di sacrificare un’altra regione.
I rischi del referendum
La saldatura dei nemici interni e di quelli esterni, si diceva. È stato proprio questo spettro a spingere l’altro ieri la premier a rimangiarsi tutte le accuse a Sergio Mattarella. E a legare quella polemica sui sedicenni manganellati per strada al premierato. Meloni si è convinta che si stia facendo largo un meccanismo simile a quello che fece saltare Matteo Renzi. Che il quesito si stia insomma trasformando rapidamente: non più “volete questa riforma costituzionale?”, bensì “volete questa premier?”. Non basta dire che non sarà lei a personalizzare quel voto, per mettersi al riparo. Palazzo Chigi ha osservato con profonda preoccupazione un recentissimo sondaggio di Euromedia che segnalava per la prima volta il sorpasso del fronte del “no” al premierato: 41,1% di contrari, 40,6% di favorevoli. Si spiegano anche così i segnali di nervosismo. Come l’altro ieri a Toronto, quando la leader si è mostrata visibilmente irritata nella fase finale del punto stampa.
Lo scontro con Mattarella
Lo staff di Meloni e i suoi consiglieri politici — a partire da Giovanbattista Fazzolari — temono dunque lo scontro con Mattarella. E questo perché il Presidente della Repubblica gode di una popolarità altissima. Lo scontro sui manganelli di Pisa, pianificato e fortissimamente voluto dalla premier in persona, non ha giovato all’esecutivo. Attorno alla figura di garanzia del Capo dello Stato — che ovviamente si tiene alla larga da tutto questo — rischia di coordinarsi la resistenza politica allo strapotere meloniano. Ecco perché la leader ha fatto pubblicamente retromarcia, sia pure ricordando a tutti — anche al Colle — di aver scelto una riforma meno radicale di quanto avrebbe voluto. Nessuna mano tesa, soltanto un calcolo politico dettato dal timore di arretrare ancora nel consenso.
Verso le europee
Abruzzo, dunque. Come battaglia esistenziale. Come primo appuntamento verso la corsa alle Europee. Sarà solo la prima tappa di un tour italiano significativo: dopo Pescara, Pordenone e Trieste, poi altre due o tre missioni, tra cui Basilicata e Toscana. Le Europee si avvicinano, bisogna dare una scossa. E allontanare questa strana sensazione che non tutto sia più, davvero, sotto controllo.
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