L’astronomica disparità di genere: 131 anni per l’uguaglianza sulla Terra, mentre Marte ci aspetta
In un’epoca in cui il progresso tecnologico sembra superare ogni barriera immaginabile, dal pianificare la colonizzazione di Marte all’istituzione di basi lunari permanenti, sorge una domanda: come può l’umanità raggiungere tali vette dell’innovazione spaziale e allo stesso tempo trascinarsi così lentamente verso la chiusura del gender gap globale?
Nonostante gli audaci piani di colonizzazione spaziale e le impressionanti proiezioni economiche della space economy, che prevedono un mercato da mille miliardi di euro entro il 2030, una disuguaglianza più terrena opprime ancora metà della popolazione mondiale. Secondo il Global Gender Gap Report, ci vorranno almeno 131 anni per colmare il divario globale di genere, una prospettiva che diventa ancora più drammatica quando rivolgiamo lo sguardo alla parità economica, proiettata a 169 anni nel futuro. Perché, mentre ci preoccupiamo di espandere il nostro habitat oltre l’atmosfera terrestre, non dedichiamo la stessa energia e risorse per accelerare il passo verso l’uguaglianza di genere qui sulla Terra?
Fotografando l’Italia da vicino, si pone come un esempio emblematico di questa profonda dicotomia. Da un lato, ha un ruolo da protagonista nell’arena spaziale globale, piazzandosi come il settimo Paese al mondo per investimenti nello spazio in relazione al Pil. Con un investimento complessivo nel settore spaziale che raggiunge i 4,6 miliardi di euro e un mercato Aerospace che ha generato un fatturato di 2,5 miliardi di euro nel solo 2022, l’Italia si dimostra fermamente rivolta verso le stelle. Un impegno rafforzato da un budget nazionale dedicato di circa 1,85 miliardi di euro nel 2023 e arricchito da 2,3 miliardi di euro dal Pnrr e 300 milioni dal programma Artemis, anticipando oltre 3 miliardi di euro di investimenti in Esa nei prossimi tre anni.
D’altro canto, quando si volge lo sguardo verso i diritti e le opportunità di genere, l’immagine che emerge è nettamente contrastante. L’Italia si trova in una posizione allarmante nelle classifiche internazionali sul gender gap: è al 79esimo posto su 146 Paesi in termini di gap generale e, scende ancora più in basso per quanto riguarda la parità economica. Questo divario si riflette ancor più nel mondo del lavoro dove, secondo Eurostat, l’Italia registra il più basso tasso di occupazione femminile tra i paesi dell’Unione europea. Un discostante scenario in cui l’ambizioso avanzamento verso nuovi orizzonti nello spazio sembra divergere dalle realtà quotidiane e dalle sfide affrontate dalle donne italiane.
Il paradosso del progresso. Il contrasto tra le ambizioni spaziali dell’umanità e la realtà del gender gap apre una riflessione profonda sulle priorità della società. Possiamo davvero celebrare i passi compiuti verso basi lunari permanenti o navette spaziali che promettono l’esplorazione di nuovi mondi, quando sul nostro stesso pianeta non siamo in grado di garantire diritti e opportunità eguali per tutti?
Dobbiamo chiederci: se siamo capaci di pianificare la vita su Marte, perché non possiamo applicare una determinazione simile per raggiungere l’uguaglianza di genere in tempi molto più brevi? Ciò che manca è spesso la volontà collettiva di priorizzare e agire.
Mentre guardiamo alle stelle e sogniamo di assicurare all’umanità un futuro fra i pianeti, non dimentichiamoci di coloro con cui condividiamo la Terra. Realizzare un futuro in cui l’esplorazione spaziale e l’uguaglianza di genere progrediscano di pari passo non è solo un obiettivo provocatorio, ma una necessità per assicurare che l’avventura più grande dell’umanità, quella di un futuro equo e inclusivo, non rimanga confinata nei libri di fantasia, ma diventi la realtà alla base della nostra società cosmica presente.
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