Re Carlo riceve Zelensky. Ecco perché Londra usa il softpower della Royal Family

LONDRA – È la carta a sorpresa che Keir Starmer ha portato con sé nella visita di questa settimana a Washington: l’asso nella manica, o per la precisione nella tasca interna della giacca, con cui il primo ministro britannico voleva sorprendere Donald Trump e ha funzionato perfettamente. La lettera di re Carlo, che ha dato al presidente americano lo status di unico leader al mondo invitato due volte a una visita di Stato a Londra, ha sciolto il capo della Casa Bianca, mettendolo subito nell’umore giusto.

Possibili differenze su come arrivare alla pace in Ucraina e sulla guerra commerciale con il Regno Unito sono apparse immediatamente superabili. Come minimo, non ci sono state le esplosioni di rabbia che ventiquattro ore più tardi hanno trasformato l’incontro fra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un incidente diplomatico senza precedenti.

È il cosiddetto soft power della famiglia reale britannica: un potere morbido, diverso da quello dell’economia o degli armamenti, ma egualmente in grado di vincere battaglie internazionali o perlomeno di non perderle. Una carta che Carlo III ha giocato di nuovo annunciando per stamani un colloquio con Zelensky, sullo sfondo della partecipazione di quest’ultimo al summit indetto da Starmer con gli altri leader europei a Londra per discutere di come aiutare Kiev e, dopo la rissa verbale di venerdì, come provare a rappacificare Zelensky e Trump.

È probabile che l’idea di invitare il presidente degli Stati Uniti a Buckingham Palace, con il contorno di banchetti, fanfara e squilli di tromba che scandisce le visite ufficiali, sia stata di Downing Street e che il sovrano abbia accettato: forse a malincuore, perché è nota la sua simpatia per l’Ucraina e il suo sostegno alle campagne ambientaliste ora minacciate dalla politica di Trump, riassunta dallo slogan “drill, baby, drill” (scava, ragazzo, scava). Non ci vuole molto a immaginare cosa gli abbia detto Starmer: “Maestà, abbiamo bisogno di lei per evitare dazi doganali dannosi per il nostro Paese e per avere un backstop di garanzie di sicurezza americane nel quadro di una eventuale pace in Ucraina”. E il re non ha avuto esitazioni a fare il suo dovere.

Non si sa se sia stato di nuovo il primo ministro laburista, o Carlo di sua stessa volontà, a pensare che ricevere oggi a palazzo reale Zelensky sarebbe stata una degna risposta britannica, e in senso più ampio europea, a dispetto della Brexit, al trattamento umiliante a cui il presidente ucraino è stato sottoposto venerdì alla Casa Bianca. Di certo, è stata una decisione presa in fretta, con un’urgenza dettata dalla drammatica divisione che si rischia fra America ed Europa, una spaccatura in grado di mettere in crisi la Nato e da cui soltanto la Russia di Putin avrebbe da guadagnare.

Al di là di come sia maturata, anche questa mossa conferma che la royal family, per quanto considerata da alcuni obsoleta, serve ancora a qualcosa che va oltre l’accalappiare turisti davanti ai cancelli per il cambio della guardia e vendere souvenir.

Del resto, è un ruolo che la regina Elisabetta, scomparsa nel settembre del 2022, ha saputo interpretare più volte nel suo lungo regno, che si trattasse di incontrare Martin McGuinness, l’ex-comandante dell’Irish Republican Army (Ira), l’esercito clandestino indipendentista nord-irlandese che durante i Troubles, i trent’anni di guerra civile nella regione, assassinò fra gli altri lord Mountbatten, zio del principe Filippo, ovvero del marito di Elisabetta, e ultimo viceré britannico in India; o capi di Stato con cui il Regno Unito aveva avuto un passato tutt’altro che amichevole, come il sudafricano Nelson Mandela o il sovietico Mikhail Gorbaciov. Carlo non ha lo stesso fascino di sua madre. Ma sorretto dall’estrema popolarità del figlio primogenito William e della sua moglie Kate, il re è consapevole che un invito in pompa magna a Buckingham Palace esalta il narcisismo di The Donald come forse nessun altro onore riesce a fare. Invitare a palazzo reale anche Zelensky, sia pure soltanto per un tè, sembra un segnale studiato ad arte dalla diplomazia di corte e di governo britannica per dimostrare a Trump che il suo hard power non può ottenere proprio tutto: anche lui è costretto a rispettare il soft power dei Windsor. E a imparare, se possibile, le buone maniere, almeno quando c’è di mezzo la royal family.

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