Prosecco, olio d’oliva, vino e sidro: i prodotti Made in Italy più a rischio per i dazi di Trump

La data, per ora, è fissata: 2 aprile. Quel giorno, a meno di ripensamenti ormai all’ordine del giorno in questa guerra commerciale iniziata a Washington e “combattuta” fino in Cina, su tantissimi prodotti importati negli Stati Uniti dall’estero calerà la scure dei dazi doganali. A farne le spese, quelli dell’agroalimentare dall’Unione europea. Le tariffe in questo settore fanno tremare le aziende italiane. L’export verso gli Stati Uniti di cibo e bevande rappresenta per il made in Italy un mercato importante e in crescita, per un giro d’affari di 7,8 miliardi di euro nel 2024.

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La guerra commerciale Usa-Ue

Dopo una giornata di tensioni tra Usa e Canada, con le barriere al 50% su acciaio e alluminio annunciate e poi sospese da Trump, l’Unione europea ha annunciato contro-dazi in vigore dall’1 aprile e pienamente operativi in due settimane. Dopo quelli in funzione da oggi, la prossima data cerchiata di rosso sul calendario delle aziende italiane è quella del 2 aprile. L’allarme lo lancia la Cia – Agricoltori italiani, pubblicando una analisi che attinge a dati Nomisma e Ufficio studi confederale.

“Una batosta per gli americani fino a 10mila dollari in più a vettura”

Dazi Usa, i prodotti italiani a rischio

Alcuni prodotti agroalimentari italiani dipendono fortemente dal mercato statunitense. L’export Oltreoceano in questi ultimi 10 anni è cresciuto del 158% e ora i dazi trumpiani mettono a rischio investimenti e stabilità di aziende. E lo stesso vale per le regioni, con Sardegna e Toscana particolarmente esposte a perdite milionarie con le nuove tariffe a stelle e strisce. “Gli Usa, infatti, valgono quasi il 12% di tutto il nostro export agroalimentare globale, mettendoci in testa alla classifica dei Paesi Ue, molto prima di Germania (2,5%), Spagna (4,7%) e Francia (6,7%)”, ha dichiarato il presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini.

Vino, olio d’oliva e Pecorino Romano

A rischiare di più, secondo Cia-Agricoltori italiani, si colloca il sidro, una nicchia di eccellenza che destina il 72% del suo export al mercato americano (per un valore di circa 109 milioni di euro nel 2024), seguito dal Pecorino Romano (prodotto al 90% in Sardegna) tra i più sostituibili in quanto consumato prevalentemente grattugiato, il cui export negli Usa vale il 57% di quello complessivo (quasi 151 milioni di euro). Discorso a parte sul vino italiano, per il quale gli Usa sono la prima piazza mondiale con circa 1,9 miliardi di euro fatturati nel 2024, ma con “esposizioni” più forti di altre a seconda delle tipologie e denominazioni.

Pechino punta l’export su Europa e Sud del mondo

A dipendere maggiormente dagli Stati Uniti per il proprio export sono i vini bianchi Dop del Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, con una quota del 48% e un valore esportato di 138 milioni di euro nel 2024; i vini rossi toscani Dop (40%, 290 milioni), i vini rossi piemontesi Dop (31%, 121 milioni) e il Prosecco Dop (27%, 491 milioni). Anche se i produttori, raccontavano a Francesco Manacorda su la Repubblica, per ora sono ottimisti proprio grazie alla crescita degli ultimi anni.

Grandi numeri che i dazi possono scombinare, lasciando strada libera ai competitor di aggredire una fetta di mercato molto appetibile: dal Malbec argentino, allo Shiraz australiano, fino al Merlot cileno. Anche per l’olio d’oliva italiano gli Stati Uniti hanno un peso significativo, pari al 32% del proprio export (937 milioni di euro nel 2024), ma meno sostituibile nella spesa degli americani, e così a scendere per i liquori (26%, 143 milioni).

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