Il Nyt rivela: “Trump ha bloccato l’attacco israeliano ai siti nucleari iraniani”
Alla vigilia di un nuovo round nel negoziato sul nucleare iraniano incardinato a Roma nel fine settimana, il New York Times rivela che il presidente americano Donald Trump ha fermato un piano di attacco pianificato da Israele che sarebbe dovuto scattare a maggio per colpire i siti nucleari iraniani. L’obiettivo del premier israeliano Benjamin Netanyahu era quello di arrestare la possibile corsa di Teheran verso la creazione di un’arma atomica, oggi ritenuta pericolosamente vicina, ma Trump ha scelto di dare una chance alla diplomazia per ottenere lo stesso risultato senza scatenare una nuova guerra nella regione.
Borse oggi, le news dopo i dazi. Oggi incontro Meloni- Trump
Il podcast di Stefano Massini
Secondo fonti di prima linea dell’amministrazione Usa a Washington, citate in forma anonima dal quotidiano americano, i piani israeliani non si proponevano l’obiettivo di azzerare il progetto nucleare iraniano ma quantomeno di riportare indietro di un anno le lancette dell’orologio atomico. Ma Netanyahu non è riuscito a convincere gli americani ad appoggiare un attacco che avrebbe colpito Israele in un momento in cui era straordinariamente debole, dopo l’accecamento dei sistemi di difesa provocato dal raid israeliano e dopo la caduta del regime alleato siriano di Bashar al-Assad e il violento ridimensionamento di Hezbollah in Libano.
Usa-Iran, primo faccia a faccia: “Colloqui costruttivi, avanti”
Israele sa di non poter colpire Teheran senza il pieno appoggio della Casa Bianca. Non soltanto servirebbe l’intervento diretto con le portaerei e i sistemi di attacco dispiegati da Washington nella regione, ma anche e soprattutto il suo impegno per contenere e respingere qualsiasi reazione iraniana diretta o attraverso milizie ed eserciti come quello degli Houthi dello Yemen. Il regime degli ayatollah ha sempre negato di voler perseguire l’obiettivo di dotarsi di un’arma nucleare, ma procede rapidamente a livelli di arricchimento dell’uranio tali da andare ben al di là di qualsiasi uso civile. Sebbene Trump condivida l’obiettivo di impedirglielo, questa volta la Casa Bianca ha respinto la richiesta giunta da Israele di farlo armi in pugno.
Le divergenze tra Netanyahu e Trump
La visita di Netanyahu nello Studio Ovale la scorsa settimana è stata particolarmente tesa proprio sulla questione iraniana. “Il presidente, in un certo senso, si è divertito a fargliela pagare con l’Iran. La stessa dinamica che si è vista in pubblico è successa anche in privato”, ha detto un funzionario americano ad Axios raccontando che “Trump e Bibi hanno una visione molto diversa sulla questione di un attacco militare in Iran”. Nel corso della conferenza stampa Trump aveva rivelato l’esistenza di colloqui in corso con l’Iran mettendo Netanyahu visibilmente a disagio.
Il tema dell’approccio giusto per ottenere l’obiettivo condiviso di impedire a Teheran il possesso dell’arma nucleare non divide soltanto le opinioni delle superpotenze occidentali ma anche gli stessi vertici dell’amministrazione Trump. Lunedì il presidente ha convocato un consiglio di sicurezza estremamente teso su questo punto, con opinioni molto diverse il cui unico nucleo condiviso era la necessità di fare qualcosa, e la consapevolezza che se non si raggiungerà un accordo diventerà inevitabile un conflitto armato.
Falchi e colombe nell’amministrazione
Secondo la ricostruzione di Axios, le colombe che puntano sulla via negoziale sottolineando i rischi per i soldati americani nella regione e le conseguenze economiche con il probabile rialzo record dei prezzi del petrolio fanno capo al vicepresidente J. D. Vance, e includono l’inviato di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e il segretario alla Difesa Pete Hegseth. Il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz e il segretario di Stato Marco Rubio, al contrario, sono molto più vicini alle posizioni israeliane, ritenendo saggio sfruttare la temporanea debolezza iraniana per smantellare integralmente il programma atomico di Teheran senza alcuna fiducia di poter ottenere lo stesso obiettivo nei negoziati in corso.
Per il momento tuttavia prevale la linea diplomatica. Se è vero che il primo round in Oman non ha raggiunto alcun risultato concreto, è anche vero che si trattava solo di un preliminare di notevole valore simbolico per aver messo faccia a faccia il capo negoziatore americano Witkoff ed il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi. La guida suprema iraniana, l’ayatollah Khamenei, in passato aveva vietato qualsiasi colloquio diretto con gli americani. Nel suo primo mandato alla Casa Bianca, Trump aveva fatto saltare l’accordo sul nucleare firmato da Barack Obama e aveva ordinato l’assassinio del comandante militare più venerato dell’Iran, il generale Qasem Soleimani. Il semaforo verde acceso da Khamenei per questi nuovi negoziati è un importante segnale di disponibilità.
Trump ha dato due mesi di tempo per raggiungere un accordo sul nucleare con l’Iran. Sebbene abbia dimostrato d’intendere questi limiti temporali più come obiettivi simbolici che come reali ultimatum, la tabella di marcia diplomatica è serrata. A una settimana dal primo round in Oman tutto è pronto per il secondo, che dovrebbe svolgersi nell’ambasciata omanita a Roma nel fine settimana. La diplomazia mondiale è in moto: mentre il ministro della Difesa saudita Khalid bin Salman è a Teheran per consultazioni “in vista dei colloqui tra Iran e Usa”, Araqchi è volato a Mosca e consegnerà a Putin una lettera di Khamenei.
Nei colloqui tra Putin e Trump, uno dei temi resi noti era proprio la richiesta americana ai russi di aiutarli a negoziare con Teheran. I colloqui sono “in una fase cruciale”, dice il direttore generale dell’Aiea, Raphael Grossi, in visita nella Repubblica Islamica. “Voglio concentrarmi sugli aspetti positivi: c’è la possibilità di un buon esito. Nulla è garantito. Dobbiamo mettere a punto tutti gli elementi e sappiamo di non avere molto tempo. Ecco perché sono qui e perché sono in contatto anche con gli Stati Uniti”.
Condividi questo contenuto: