“Articolo 1”, le morti sul lavoro e il dramma della democrazia in un documentario
Luca, Raffaella e Sandro. Tre storie, tre lavoratori. Come tre sono i morti sul lavoro in media ogni giorno.Viene presentato alla vigilia del 1° maggio Articolo 1, il docufilm ispirato alla rubrica su la Repubblica Morire di lavoro, che il nostro collega Marco Patucchi per anni ha dedicato alle morti e agli incidenti sul luogo di professione, e firmato da Luca Bianchini.
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Articolo 1, con chiaro riferimento alla Costituzione “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, viene presentato oggi 28 aprile – in occasione della Giornata mondiale per la sicurezza sul lavoro, presso il Nuovo cinema Aquila di Roma. Un’occasione per riflettere su un’emergenza reale che riempie inevitabilmente le pagine della cronaca, ma sulla quale non si riesce a fare passi avanti. La rubrica su Repubblica e ora il documentario nascono dall’idea di Patucchi “di dare consistenza umana a questi numeri”. Se quei vuoti sono incolmabili per le persone che volevano bene a quei lavoratori, qualcosa si può fare per colmare quei vuoti a livello di comunicazione è l’idea del giornalista che, con il magistrato Bruno Giordano, sta per dare alle stampe per i tipi di Marlin editore, il nuovo libro dedicato alle morti sul lavoro, Operaicidio.
Il film parte con la storia di Luca Giannecchini, 51 anni, marito e padre di due bimbi di 2 e 5 anni morto in un cantiere stradale il 21 marzo 2024 a Sant’Alessio in provincia di Lucca. La moglie Lucia apre la sua casa colorata e calda al film: “Invece di una fossa per lavorare si è scavato una tomba – racconta – Prima di decidere di mandare qualcuno a lavorare bisogna capire se il terreno si può scavare”. Il film dà spazio alla voce di Luca, ai suoi video, alla casa che lui stesso aveva costruito, agli amici. Non se la sente di parlare Piero, il collega di sempre che era accanto a lui anche quel giorno, che ha tentato di tirarlo fuori. “Se lui non c’è – dice la moglie Lucia – è perché ci sono anche vittime collaterali. È come se un meteorite si fosse abbattuto sulla mia casa lasciando un buco”.
La seconda storia è quella di Raffaella, ex camionista tetraplegica per colpa di un infortunio dopo sole tre ore di sonno: è svenuta ed è caduta dalla cabina del suo camion la cui porta era aperta per far prendere aria. “Abbiamo scelto di iniziare le riprese concentrandoci sulla storia di Raffaella – spiega il regista Bianchini – unico testimone vivente dei casi che andremo a trattare. La sua è una storia drammatica. Questa donna è costretta su una sedia a rotelle per colpa dei turni massacranti a cui era sottoposta. È stato un lavoro lungo, che si è basato innanzitutto sul dialogo, perché il nostro obiettivo è quello di riuscire ad andare oltre la superficie delle cose”. E nel racconto di Raffaella il mondo del lavoro, che si è trasformato in mercato del lavoro “in un ritmo sempre più veloce”, è tratteggiato con grandissima lucidità. “Il lavoro è soddisfazione – racconta Raffaella – per anni ho fatto il facchino nei mercati ortofrutticoli prima di diventare camionista. Avevo fatto un patto con il mio datore di lavoro: avrei lavorato come un uomo e mi avrebbe pagato come un uomo. La responsabilità degli incidenti sul lavoro è di tutti: dei datori di lavoro certamente, ma anche dei lavoratori che alla parola sicurezza ti rispondono ‘sì ma io ho sempre fatto così, le protezioni sono scomode…’. Anche io non ci pensavo, ora mi guardo intorno e vedo la pericolosità di gesti apparentemente normali che però non lo sono. Dobbiamo imparare a lavorare per vivere e non morire di lavoro” conclude Raffaella.
La terza storia è quella di Sandro Maltagliati, di Vellano, Pescia, morto a 57 anni in cartiera il 9 febbraio 2022 travolto da un muletto. “Coltivava e faceva il vino e poi si occupava del circolo di cui era presidente – racconta il fratello, di otto anni più giovane per fare un ritratto di Sandro al di là del suo ruolo di operaio – Sandro era sempre disponibile, aiutava tutti”. Al circolo di cui era presidente, e che ora ha preso il suo nome, tutti lo ricordano “per noi ragazzi c’è sempre stato, lo sentiamo ancora qui”. In chiusura c’è il magistrato Bruno Giordano che incontra gli studenti di un istituto romano e racconta: “Ogni volta che mi sono occupato di sentenze che riguardavano vittime del lavoro mi è rimasto impresso lo sguardo dei figli, degli orfani del lavoro, occhi con una tristezza che rimane tutta la vita di cui tutti noi siamo responsabili” dice ai ragazzi.
“I numeri dimostrano l’inefficienza e l’inutilità dei provvedimenti governativi degli ultimi anni, se non la latitanza istituzionale – commenta il magistrato – Quelle vittime pesano sulla coscienza di tutti. Mentre Sagunto è assediata, la politica parla del sesso degli angeli. Se il lavoro uccide, ferisce e fa ammalare, se il lavoro è malato, lo è anche la democrazia. E per la cura ci vuole coraggio”.
“Anche nei primi due mesi di quest’anno, la statistica sulle morti di lavoro ha continuato a progredire con un intollerabile ritmo – ricorda Patucchi – 97 decessi sul luogo di attività e 36 nel tragitto casa-lavoro e viceversa denunciati all’Inail, con aumenti rispettivamente del 6,6 e del 33,3%. Un’emergenza diventata ordinarietà nel nostro Paese, con la reazione di istituzioni e politica troppo spesso all’insegna della retorica e della sottovalutazione”.
Ecco il perché di un film che mette al centro la vita, la voce, i volti, le persone che hanno amato questi tre lavoratori, perché la loro storia risuoni al di là degli articoli di cronaca su quello che è accaduto sul loro luogo di lavoro.
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