Australia al voto, l’effetto Trump spinge gli antisovranisti come in Canada

Donald Trump potrebbe compiere un secondo “miracolo”: dopo avere resuscitato i progressisti in Canada, il presidente americano sembra in grado di produrre lo stesso effetto in Australia. Dove i sondaggi, che fino al febbraio scorso davano per spacciato il primo ministro laburista Anthony Albanese, in tre mesi si sono capovolti: è lui il favorito nelle previsioni sul voto di questo sabato 3 maggio. Un rilevamento d’opinione pubblicato alla vigilia delle elezioni dai giornali della News Corporation gli assegna la vittoria, 53 a 47 per cento, su Peter Dutton, il leader della coalizione Liberal-Nazionale avversaria; un altro, condotto da YouGov, predice che il partito del premier potrebbe conquistare 85 dei 150 seggi in ballo e che l’opposizione rischia il peggiore risultato dal 1946 in poi.

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A provocare questo mutamento negli umori dell’elettorato, concordano i media di Sidney, sarebbe stato Trump, con la sua guerra commerciale, che ha colpito con l’aumento dei dazi anche l’economia nazionale, nonostante l’Australia sia uno stretto alleato di Washington; e in generale con l’instabilità che ha portato sui mercati finanziari e negli affari internazionali: nell’incertezza, gli australiani appaiono più propensi a non cambiare governo. Al leader dell’opposizione Dutton, in più, non ha giovato essersi inizialmente ammantato del ruolo di “Trump locale”, sostenendo la politica anti woke del capo della Casa Bianca e promettendo di creare un ministero dell’Efficienza Governativa per tagliare radicalmente la spesa pubblica, come quello affidato da Trump a Elon Musk negli Stati Uniti.

Nel novembre scorso, dopo la vittoria alle urne di Trump nelle presidenziali, Dutton era convinto che allinearsi con il tycoon americano lo avrebbe favorito alle elezioni. Negli ultimi mesi, tuttavia, i sondaggi lo hanno smentito, indicando che il 48 per cento dei votanti era allarmato da Trump o apertamente contrario alle sue scelte. Da settimane Dutton ha smesso di nominare Trump, tantomeno di sostenerlo: ma forse troppo tardi.Il premier Albanese (di origine italiana: il padre proviene da Barletta, in Puglia) minimizza i pronostici dei sondaggi, che in passato hanno commesso errori clamorosi nella terra dei canguri, e i commentatori concedono che in politica niente è sicuro: ma riconoscono anche che il clima è cambiato e che la causa è Trump. Specie tra i più giovani, che compongono il 43 per cento dei 18 milioni di elettori chiamati alle urne e danno l’impressione di non sopportare il presidente americano.

Lo scorso anno Albanese sembrava destinato a diventare il primo capo del governo australiano dal 1926 a perdere il potere dopo un solo mandato. Le cause erano le stesse che hanno messo in difficoltà molti partiti al governo anche in altri Paesi occidentali: alto costo della vita, inflazione, carenza di alloggi a buon mercato. Poi però il ciclone Trump ha cambiato le cose, danneggiando l’opposizione e rafforzando Albanese: le preoccupazioni relative alle minacce di Washington hanno assunto maggiore importanza delle questioni domestiche. Il patriottismo degli australiani potrebbe avere fatto il resto, spingendoli a serrare le file davanti a un potente straniero che, pur essendo in teoria loro amico, fa il bullo con tutti.

Può darsi che il premier laburista ottenga soltanto una vittoria di misura e sia costretto a formare un governo di minoranza dalla vita difficile nel secondo mandato. In ogni caso, se i risultati confermeranno i sondaggi e sarà Albanese a prevalere, per la seconda volta nello spazio di una settimana Trump avrà fatto il miracolo di resuscitare un progressista nei guai, come accaduto nei giorni scorsi con la vittoria del liberale Mark Carney in Canada, alimentata dalla guerra dei dazi e dalle minacce del presidente americano di farne “il cinquantunesimo Stato” degli Usa.

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