Maura Delpero, il trionfo di “Vermiglio” ai David: “Avere donne candidate dovrebbe essere la norma”
Maglietta a righe rosse, capelli sciolti e l’aria tranquilla e riflessiva. Maura Delpero il giorno dopo commenta il trionfo ai David 70, sette premi per Vermiglio, tra cui quello alla regia che la vede prima donna a vincere.
Vincere da donna è un orgoglio in più, ma ora diventi normalità
Non è stata per lei del tutto una sorpresa: “In realtà, la possibilità che fosse premiata una donna regista era concreta, eravamo in tre su cinque in cinquina. Ma essere donna è stato un punto di orgoglio in più, “perché per me è stato più difficile, e per tante altre donne che conosco è stato più difficile. È sempre delicato, anche pieno di insidie, parlare di questo. Ma è necessario. È qualcosa che si attraversa, un passaggio. Io l’ho vissuto molto, sia in Italia che in Argentina. Lì per un po’ di anni si era molto avanti, ora è un disastro. L’ideale sarebbe arrivare a un punto in cui se ci sono tre donne su cinque, nessuno ci fa più caso. Perché sarebbe la norma. E invece ancora adesso ci sorprendiamo. Ma è qualcosa che non ci possiamo più permettere. L’allarme è stato lanciato da tanto. I numeri stanno cambiando, e il sistema pure. Oggi vincere come donna è un punto in più perché quelle donne hanno dovuto fare una fatica in più. Crescere in una società patriarcale ti lascia un’eredità pesante, a volte ti boicotti anche da sola. E poi c’è l’intersezionalità. Io non ho avuto difficoltà solo come donna, ma anche come periferica. In tutti i sensi. Se fossi nata in una famiglia ricca di cinema, con riferimenti chiari, sarebbe stato diverso. Invece il desiderio è stato un motore molto forte. E mi auguro che il cinema si apra sempre di più. A generi, sessualità, ma anche classi sociali ed economie diverse. È per questo che si continua a parlare di diversità. Per non dimenticare. E per non tornare indietro. Che è un attimo”.
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Sostegno senza ma al cinema indipendente, il cinema è arte
Sul palco dei David a Cinecittà e alla cerimonia al Quirinale, in tanti si sono espressi a favore di un cinema italiano d’autore, il sostegno ai film indipendenti, in un momento in cui anche le politiche ministeriali latitano al riguardo. La cineasta racconta la difficoltà di portare avanti un film come questo, che ha avuto un percorso complesso ma anche molto apprezzato. “Partivo da una condizione forse più favorevole rispetto ad altri colleghi e colleghe: il film precedente, seppur parlato in spagnolo e girato in Argentina, aveva avuto un forte riscontro nei festival internazionali, con numerosi premi. Questo ha generato una certa fiducia intorno a me. Non ho ricevuto molti rifiuti espliciti, ma è stato comunque faticoso: meno soldi, più difficoltà. Mi è stato detto chiaramente che, in assenza di uno star system, sarebbe stato più complicato. Ho dovuto girare con due settimane in meno rispetto al previsto e questa riduzione comportava il rischio concreto di sacrificare la qualità. Ho difeso il film con le unghie e con i denti. C’è bisogno di una resistenza psicofisica in questo mestiere. Quanti film si possono fare buttando sangue ogni volta? Bisogna sostenere il cinema indipendente, l’ho detto anche a Venezia. I fondi pubblici devono garantire continuità perché il nostro è un lavoro vulnerabile. Il successo non è la norma: i nostri successi nascono dai nostri errori, sono l’anticamera dei prossimi. Ma dietro ci sono vite, famiglie, storie personali. Dobbiamo valutare il nostro lavoro sul lungo periodo. La Biennale di Venezia parla di arte cinematografica, non di intrattenimento cinematografico: è fondamentale ricordarlo”.

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Il pudore dei festeggiare, il bisogno di sobrietà
L’aria nuova di questa edizione dei David, che è sembrata più legata al presente, alla realtà sociale, senza rifugiarsi solo nel glamour. “Sì, l’ho sentita. Non solo ieri sera. Ma anche nei giorni precedenti. ho sentito questo bisogno diffuso. C’era quasi un pudore nel festeggiare. L’arte ha sempre una componente autoreferenziale. Ma siamo cittadini, non solo artisti. E ieri sera c’è stato rispetto, pertinenza, sensibilità. Non è che questo tema sia uscito ora. Vermiglio è un film militante già dalla nota d’intenzione scritta per presentarlo. Sarebbe bello se oggi non fosse più necessario. Ma purtroppo lo è. Il rischio più grande è lo slogan. O l’abuso. Invece mi è sembrato ci fosse una vera volontà di non chiudersi in una bolla. E di non parlare a vuoto”.
Contro l’idea virile della guerra
Sul palco, stringendo il David per la migliore sceneggiatura, ha parlato del valore antimilitarista del film, raccontando che durante la scrittura le chiedevano se fosse anacronistico parlare di guerra, “è vero, quando scrivevo la sceneggiatura, una delle domande più difficili era come raccontare la guerra senza cadere nella trappola di un’adrenalina subliminale, di un eroismo virile che finisce per renderla affascinante. In Vermiglio non ci sono eroi: ci sono uomini rotti, silenzi, parole sbagliate, eppure vere. La zia, che per tutto il film dice banalità patriarcali, a un certo punto afferma: “La guerra rende tutti gli uomini uguali”. E il protagonista maschile, Cesare, dice in un bar: “Forse questa codardia o questo coraggio li stiamo sopravvalutando. Forse, se fossimo tutti un po’ più codardi, ci sarebbe meno guerra”. Mi è sembrato giusto ribadirlo in un tempo come questo”.
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Ricomincio da quattro
Dopo un successo come questo, quali aspettative sente sul prossimo film? “Massimo Troisi diceva: “Dopo il primo film andato bene, tutti dicono che il secondo sarà un disastro. Io salto il secondo e faccio direttamente il terzo.” Io dico: non è il mio primo film, faccio direttamente il quarto”. Ricorda che “non sono arrivata qui per caso o per fortuna. È stato un cammino lungo, in salita, pieno di ostacoli. Ho fatto tanti errori, ho impiegato anni per costruire il mio linguaggio e spesso ho lavorato molto meno di quanto avrei voluto, anche per esigenze economiche. Però tutto questo mi ha permesso di sperimentare liberamente. Il cinema del reale, il documentario, mi ha offerto una palestra preziosa. Ma attenzione a non relegarlo al ruolo di anticamera della fiction: è un linguaggio a sé, con una sua dignità. Eppure, è vero che ha permesso a molte autrici e autori di trovare una libertà stilistica. Negli ultimi anni vedo finalmente una ibridazione fertile: Alice Rohrwacher viene dalla letteratura, Pietro Marcello dalla pittura. Il mio montatore viene dalle arti visive. Per anni il cinema è stato autoreferenziale; ora qualcosa si muove. Questo percorso, seppur lungo e faticoso, è stato utile. E continuerò a lavorare così. La verità è che ora, banalmente, faccio fatica a trovare concentrazione. Sono settimane che cerco la mia solitudine. Devo chiudere davvero con Vermiglio, voltare pagina. Sto leggendo molto, anche dall’estero, e sto valutando con calma i prossimi passi”.
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Serie tv? Non conta la forma ma il contenuto
A Maura Delpero sono arrivate proposte anche da piattaforme o da serie televisive: “Sto rifiutando tantissimo. E mi preoccupa anche un po’. Ma non è un problema di formato. È una questione di qualità. Non ho preclusioni, anche se per me è difficile entrare in qualcosa che non nasce da un mio movimento interno. Però mi incuriosisce. La domanda vera oggi è: posso portare avanti entrambe le cose? Progetti miei, autoriali, e altre esperienze di mestiere, che fanno crescere, che ti costringono ad altri linguaggi? Però deve sempre scattare qualcosa. Una fiamma. Una qualità profonda. E non succede spesso. Leggo tanto. Rifiuto tanto. Ma sono aperta. Ci vuole tempo. E intanto continuo a lavorare a cose mie. Forse un giorno i percorsi si incroceranno. Forse no. Ma serve un collegamento vero con ciò che fai. Anche se ti sembra lontanissimo da te”.
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Nessun rivalità con Sorrentino, ha vinto tanto e vincerà ancora
A proposito della “sconfitta” di Paolo Sorrentino, quindici candidature per Parthenope e nessun premio dice “ non provo alcuna rivalità o invidia per altri colleghi. Paolo Sorrentino ha vinto e vincerà ancora moltissimo. Qui non si tratta di una gara: ognuno ha il proprio percorso”. Lo ribadisce anche Paolo Del Brocco, ad di Rai Cinema “erano tanti i film belli candidati, non solo Sorrentino. Ma non si vince contro qualcuno, si è trattato di premiare un film in cui centinaia di giurati dell’Accademia hanno creduto”.
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Il premio e l’amore del pubblico italiano
Il produttore di Lucky Red Andrea Occhipinti ha voluto sottolineare l’eccezionalità del percorso del film Vermiglio, ricordando come sia stato non solo un successo di critica e premi – dal Leone d’Argento ai David di Donatello – ma anche di pubblico, con oltre 2 milioni e mezzo di incasso e quasi 400.000 spettatori, superando film internazionali molto più sostenuti commercialmente. Ha raccontato la strategia distributiva iniziale e l’entusiasmo crescente, con richieste di nuova uscita anche dopo la messa in onda su Sky. Aggiunge, Delpero, “è stata una grande gioia che in Italia sia andato così bene. Ma voglio raccontarvi anche quello che ci stanno dicendo i nostri colleghi all’estero. Il film sta andando molto bene in tanti paesi. Erano, ad esempio, molto contenti dei risultati in Francia, ma anche in nazioni più piccole. E i distributori stanno portando dati molto buoni. Questo dimostra che il film ha parlato davvero a tanti, e che un certo tipo di cinema può viaggiare, può essere capito, può emozionare anche oltre confine”.
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