Energia nucleare, c’è voglia di centrali ma non è così facile

“L’energia nucleare sta vivendo un forte ritorno, con investimenti in aumento, nuovi progressi tecnologici e politiche di sostegno in oltre 40 Paesi… Ma nonostante il crescente slancio, diverse sfide devono essere superate affinché il nucleare possa svolgere un ruolo importante nel futuro panorama energetico”. Luci e ombre, ancora una volta. A dipingere il quadro che ritrae lo stato dell’arte e il possibile futuro delle centrali atomiche è l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), che lo scorso gennaio ha pubblicato uno studio dal titolo “Il percorso verso una nuova era per l’energia nucleare”.

Vediamo i numeri. Partendo dalla premessa che nel mondo la domanda di elettricità è in rapida crescita, non solo per usi convenzionali come l’industria leggera o la climatizzazione, ma anche in nuovi settori come i veicoli elettrici, i data center e l’intelligenza artificiale, l’Agenzia internazionale dell’energia prevede che “la produzione nucleare è destinata a raggiungere il massimo storico nel 2025 grazie a una flotta mondiale di quasi 420 reattori. Anche se alcuni Paesi stanno eliminando gradualmente l’energia nucleare o dismettendo anticipatamente le centrali atomiche, la produzione globale è in aumento con la ripresa in Giappone, il completamento dei lavori di manutenzione in Francia e l’avvio delle operazioni commerciali di nuovi reattori in vari mercati, tra cui Cina, India, Corea ed Europa. L’energia nucleare produce poco meno del 10% della produzione globale ed è oggi la seconda fonte di elettricità a basse emissioni dopo l’energia idroelettrica”.

La Francia produce con l’atomo il 65% della sua elettricità, la Slovacchia il 63, l’Ucraina il 50. Fuori dal podio, colpiscono Usa e Russia, entrambi al 18%, la Cina con il 5%, l’Iran con il 2%. “Attualmente”, continua la Iea, “sono in costruzione circa 63 reattori nucleari, che rappresentano una capacità di oltre 70 gigawatt, uno dei livelli più alti registrati dal 1990. Inoltre, negli ultimi cinque anni, sono state prese decisioni per estendere la vita operativa di oltre 60 reattori in tutto il mondo, che coprono quasi il 15% del parco nucleare totale”.

Ma se c’è un ritorno di interesse (e di investimenti) sui reattori nucleari è anche vero che si tratta di un interesse fortemente sbilanciato. “Al momento, il rinnovato slancio verso l’energia nucleare dipende fortemente dalle tecnologie cinesi e russe: dei 52 reattori la cui costruzione è iniziata in tutto il mondo dal 2017, 25 sono di progettazione cinese e 23 di progettazione russa. L’elevata concentrazione dei mercati per le tecnologie nucleari, così come per la produzione e l’arricchimento dell’uranio, rappresenta un fattore di rischio per il futuro e sottolinea la necessità di una maggiore diversificazione nelle catene di approvvigionamento”, avverte l’Agenzia.

Il dato è ancora più preoccupante se si prende in considerazione il quinquennio 2020-2024: tutti i cantieri nucleari avviati in quel periodo si basano infatti su tecnologie pensate a Mosca o a Pechino. Anche perché la Cina, con 5,1 gigawatt, guida la classifica dei Paesi che hanno in costruzione impianti con più potenza. Metà dei progetti attualmente in costruzione si trovano nel Paese asiatico, che è sulla buona strada per superare sia gli Stati Uniti sia l’Unione europea in termini di capacità di energia nucleare installata entro il 2030. Seguono l’India, la Turchia e l’Egitto che attingono quasi esclusivamente a tecnologia russa.

Guardando al futuro, la Iea delinea uno scenario in cui le economie avanzate, con gli Small modular reactor e la nuova costruzione di reattori su larga scala, potranno compensare, ma solo di poco, gli effetti dell’invecchiamento della flotta esistente. “Il che significa che la capacità nel 2050 sarà leggermente superiore a quella attuale – spiega l’Agenzia – nell’Unione Europea, la quota di energia nucleare nel mix elettrico ha raggiunto il picco del 34% negli anni ‘90, ma è già scesa al 23% oggi e continua a diminuire costantemente in questo scenario. Al contrario, in Cina, la capacità nucleare installata sarà più che triplicata entro la metà del secolo, e raddoppierà anche in altre economie emergenti e in via di sviluppo”.

Perché sì / Stefano Monti: “Senza l’atomo niente transizione”

“Senza il nucleare la transizione energetica non la facciamo. E poi c’è un nuovo scenario geopolitico, che ha evidenziato come l’Europa abbia bisogno di indipendenza energetica e di affrancarsi da forniture che la mettono a rischio”. Sono queste, in estrema sintesi, le ragioni per cui occorre tornare a fare, anche in Italia, reattori a fissione secondo Stefano Monti, una lunga carriera all’Enea, poi molti anni a Vienna come dirigente dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea), ora presidente dell’Associazione italiana nucleare (Ain) e della European Nuclear Society (Ens).

Ingegner Monti, perché sì al nucleare?
“Perché è una energia del carico di base molto affidabile e dà stabilità alla rete elettrica. È la più decarbonizzata, in termini di CO? per kilowattora, se si considera l’intero ciclo di vita. Ed è anche una tecnologia su cui l’Europa governa tutta la catena di valore, a parte l’uranio. Nei giorni scorsi la supply chain francese ha mostrato che il 95% dei suoi fornitori sono in Europa”.

L’uranio però non è un dettaglio…
“Vero, ma lo possiamo agevolmente approvvigionare da Paesi amici, il Canada o l’Australia. E non mi risulta che siamo in guerra con il Kazakistan, uno dei Paesi con le maggiori riserve. Tutto il resto del ciclo siamo in grado di gestirlo a livello europeo. Cosa non altrettanto vera per le rinnovabili: sappiamo che i materiali critici necessari arrivano al 90% dalla Cina. Quando poi arriveranno sul mercato reattori veloci, non avremo nemmeno più bisogno dell’uranio fresco da miniera: basterà riciclare tutto il materiale fissile e fertile già disponibile”.

E i costi? Le rinnovabili sono forse l’energia più a buon mercato?

“Sui costi si fa confusione e si danno numeri parziali. Le rinnovabili hanno bassi costi di produzione, ma ci si è arrivati con grandi incentivi pubblici pagati dai cittadini: solo in Italia 230 miliardi di denaro pubblico, e in Europa si parla di trilioni. Ma il costo non è solo nella produzione: ci sono i costi di sistema, che servono a evitare episodi come il recente blackout accaduto in Spagna e Portogallo. Bisogna investire molto sulla rete e gli stoccaggi, diverse decine di miliardi per Paese. Solo in Germania prevedono di investire da qui al 2045, 570 miliardi per potenziare la rete. Con una cifra simile si rinnova ed espande tutta la flotta di reattori nucleari della Ue. Se si sommano tutte le voci, le rinnovabili non risultano poi così economiche e competitive. E convengono soprattutto a chi le produce: ma se si caricassero sui produttori i costi di sistema, il trasporto dell’energia fotovoltaica dal Sud al Nord, i costi del back-up quando non c’è vento o sole, i loro margini di guadagno sarebbero assai ridotti. E poi ci sono fortissime oscillazioni di prezzo: nei mesi scorsi siamo passati da prezzi negativi, per un eccesso di produzione, ai 900 euro al megawatttora toccati in Germania per mancanza di vento. Sbalzi che però destabilizzano tutto il sistema. Per evitarli ci vuole una energia decarbonizzata che stabilizzi le reti. E allora non c’è alternativa al nucleare”.

Con quali tempi si potrebbe fare in Italia?

“In circa 10 anni possiamo avere il primo reattore in rete”.

Immagina centrali tradizionali o gli small modular reactor di cui tanto si parla?

“Guardiamo con grande interesse alle tecnologie in via di sviluppo. Però, se questa transizione le vogliamo rendere praticabile in tempi ragionevoli non possiamo spostare sempre in avanti il traguardo. Ci sono sul mercato reattori di grande taglia che si possono ordinare domani mattina. Se invece parliamo di Small Modular Reactors, se ne cominciano a vedere solo adesso le prime realizzazioni: ce n’è uno in costruzione in Canada, e altri che stanno seguendo l’iter per l’approvazione. Da qui al 2030 sarà possibile vedere i primi nel mondo occidentale e dal 2030 si potranno ordinare. Bisogna puntare subito sulle tecnologie già disponibili sul mercato occidentale. E tra 10-15 anni sfruttare le tecniche più innovative, dopo averle viste all’opera altrove”.

Resta la diffidenza di molta parte dell’opinione pubblica. Come pensate di superarla?

“Spiegando che le paure sono ingiustificate: in termini di fatalità il nucleare ha numeri più bassi anche delle energie rinnovabili. Serve il coinvolgimento delle popolazioni a cui vanno raccontate cose corrette. E lo Stato avrà un ruolo fondamentale”.

Perché no / Nicola Armaroli: “Costa troppo e ha tempi lunghi”

Esiste un luogo più inadatto dell’Italia per fare il nucleare? Secondo me, no». Per Nicola Armaroli, esperto di energia e dirigente di ricerca al Cnr, “occorre distinguere tra il ‘no assoluto’ all’energia atomica e il ‘no’ per il nostro Paese”.

Perché no in Italia?

“Il nucleare non è la soluzione per risolvere il nostro problema principale: il caro bollette. Non abbiamo i tempi, non abbiamo la tecnologia, non abbiamo capito chi ci mette i soldi e non abbiamo i siti”.

Cominciamo dalle bollette.
”Il nucleare è una soluzione a lungo termine, mentre il nostro Paese ha un problema immediato: i costi dell’energia elettrica per imprese e famiglie. Una soluzione che permetterebbe di abbassare i costi dell’elettricità tra 15 anni (e non è chiaro perché, visto che il nucleare è una tecnologia molto costosa) non è una soluzione”.

Però potrebbe essere importante per tagliare le emissioni di CO?.
”Non contribuirebbe nemmeno a raggiungere quell’obiettivo, che va centrato entro il 2040. Per quella data, di centrali nucleari non ne avremo neanche una. Per dare un’idea: abbiamo impiegato 14 anni per realizzare il parco eolico di Taranto”. Perché dice che c’è un problema di soldi? “Per rilanciare un programma nucleare servono decine e decine di miliardi. Considerando le difficoltà del bilancio statale, non si capisce chi debba investire in questa operazione. Si dice: lo faranno i privati. Ma dove sono questi grandi investitori pronti a mettere enormi quantità di capitale privato nel nucleare? Nessuno li ha visti. Si parla delle grandi aziende di Stato, però lì c’è la garanzia pubblica. In ogni caso non ci sono aziende italiane che vendono reattori chiavi in mano. Non raccontiamoci che abbiamo la tecnologia”.

Ma se avessimo la tecnologia, sapremmo dove costruire le centrali?

“Nessuno ci ha ancora spiegato dove le metteremmo. L’Italia è caratterizzata da elevata fragilità idrogeologica e rischio sismico: se si sovrappongono le mappe di questi due rischi si vede che trovare un territorio idoneo è una impresa molto difficile”.

Queste le ragioni del “perché no in Italia”. Ma nel resto d’Europa e dell’Occidente il nucleare ha un futuro?
“Non sono contrario per principio. Il punto è che si tratta di una tecnologia ormai datata, che in tutti questi decenni non ha mantenuto l’eterna promessa di produrre energia a basso costo. Prendiamo gli Stati Uniti, dove hanno tutto quel che serve: tecnologia, risorse economiche, siti, volontà politica. Quanti nuovi reattori sono in costruzione negli Usa? Zero. Perché si sono opposti gli ambientalisti? No, perché si è opposta l’economia. Alla fine, prevalgono le soluzioni più semplici ed economiche. Tra queste, non vi è il nucleare”.

Archiviati i combustibili fossili, come si garantirà la stabilità della rete elettrica se non si usa il nucleare?
“Che le rinnovabili causino l’instabilità delle reti è una leggenda. I blackout ci sono sempre stati, anche quando non avevamo l’eolico e il solare. Le rinnovabili richiedono un adeguamento della rete, che sta avvenendo. Se in questo momento in Italia stiamo mettendo in rete un milione e novecentomila impianti fotovoltaici è perché lo sappiamo fare. In passato i sostenitori del nucleare sostenevano che con oltre il 10-20% di rinnovabili la rete sarebbe crollata. L’anno scorso la Germania ha fatto il 63% dell’elettricità con le rinnovabili. Ora le stesse persone propongono di fare 80% rinnovabili e 20% di nucleare. Hanno cambiato idea”.

Dal punto di vista dell’indipendenza energetica, meglio il nucleare o le rinnovabili?
“Supponiamo che domattina i cinesi decidano di non venderci più pannelli fotovoltaici: quelli che ci hanno già venduto continuerebbero a funzionare e a produrre energia. Inoltre, si tratta di dispositivi che possiamo fabbricare in Europa, anche se a costi più alti. Con il nucleare il rischio strategico è diverso: l’uranio è una materia prima energetica che noi non avremo mai e senza la quale le centrali non funzionerebbero. Ultimo capitolo: la proliferazione. Se hai centrali atomiche hai una strada aperta verso le armi nucleari, come insegnano le estenuanti discussioni Usa-Iran. Come si decide però chi è abbastanza affidabile per avere i reattori? E chi garantisce che un Paese sia affidabile anche tra 10, 100 o 1000 anni? Questo è uno dei tanti motivi per cui, dopo 70 anni, siamo ancora qui a discutere se il nucleare sia una soluzione o un problema”.

L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno)

La partecipazione al G&B Festival è gratuita previa registrazione.

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