Alla Biennale il Vaticano porta l’arte in carcere

CITTÀ DEL VATICANO. Superare quella soglia, e non solo fisicamente. Superarla nei due sensi, per chi entra, lasciando all’ingresso il documento d’identità, lo smartphone, l’abitudine a fotografare ogni ricordo, e superarla per chi dentro ci vive, non abituato a incursioni dall’esterno, a uno sguardo curioso che poteva, inizialmente, suscitare ritrosia. E invece le circa ottanta detenute della Casa di Reclusione femminile di Venezia sull’isola della Giudecca, dove sarà installato il padiglione della Santa Sede per la Biennale, alla fine hanno accantonato la richiesta di un paravento che separasse la zona dove prendono l’aria e i visitatori che inizieranno ad arrivare dal prossimo mese, primo tra tutti, il Papa, che – primo Pontefice nella storia – visiterà l’esposizione internazionale d’arte di Venezia il 28 aprile.

«Gli artisti hanno moltiplicato la loro creatività grazie a questa forza condivisa con le detenute, si stanno creando veri e propri prodigi», ha riassunto Chiara Parisi, curatrice del padiglione, insieme a Bruno Racine, nel corso della conferenza stampa di presentazione che si è svolta in Vaticano. La partecipazione “inusitata”, ha chiosato Giovanni Russo, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia (Dap), ha avuto come presupposto che le detenute «non rimanessero parte della location, non dovessero essere estranee: il sito prescelto non doveva essere solo un luogo fisico».

Così è stato, fin dalla concezione del padiglione. «La peculiarità della Santa Sede, uno Stato singolare, privo di una scena artistica nazionale, ci ha spinto a sperimentare una formula nuova», ha spiegato Racine. Tutti hanno risposto con convinzione. L’amministrazione del carcere ha aderito, le detenute stanno collaborando già ora – con foto, con scritti, con la propria manualità – alla realizzazione delle opere, saranno loro, assieme alla polizia giudiziaria, a guidare i visitatori nei diversi luoghi dell’istituto (non le celle).

E, tanto più che non c’è molto tempo, nei mesi scorsi si sono messi subito a lavoro gli artisti: Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana, Claire Tabouret e Maurizio Cattelan.

La presenza della Santa Sede per questa edizione della Biennale e per le due prossime edizioni vedrà il supporto come main partner di Intesa Sanpaolo.

La presenza di un artista come Cattelan, che in passato suscitò qualche perplessità in Vaticano, con la sua opera La nona ora che raffigurava Giovanni Paolo II colpito da un meteorite, è la riprova che a superare la soglia è la stessa Santa Sede. «Una poetessa europea ha scritto che “l’iconoclasta ricostruisce l’icona”», ha commentato il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del dicastero per la Cultura e l’Educazione e commissario del padiglione: «A volte interrogativi che possiamo in un primo momento giudicare come radicali sono modi di ricostruire la visione del sacro, e questo fa parte dell’incontro della Chiesa con il mondo artistico, le sue categorie, le sue logiche. Perché – ha puntualizzato – non è che la Chiesa si aspetti che gli artisti siano cassa di risonanza immediata dei suoi valori e delle sue idee, un dialogo è polifonia, incontro nell’inatteso, ma un vero incontro».

Sentimento in linea con il sentire di un Papa, Francesco, che non ha mai demonizzato la provocazione. E che l’anno scorso con gli artisti che ricevette nella cappella Sistina – Michela Murgia, Marco Bellocchio, Ken Loach e molti altri – sottolineò che «per fare l’armonia ci vuole prima lo squilibrio». E li esortò a «non dimenticare i poveri».

Da quello spunto il cardinale de Mendonça, il suo “ministro della Cultura”, ha avuto l’idea di proporre il carcere della Giudecca per il padiglione della Santa Sede. «Non è certo un caso – ha spiegato il porporato portoghese – che il titolo del padiglione, Con i miei occhi, voglia focalizzare la nostra attenzione sull’importanza di come, responsabilmente, concepiamo, esprimiamo e costruiamo il nostro convivere sociale, culturale e spirituale».

Dal prossimo 20 aprile fino al 24 novembre il visitatore, ha spiegato Bruno Racine, «dovrà capire che entra in un altro mondo, attraversa il confine, in sintonia con il tema della Biennale Stranieri ovunque, abbandonare il cellulare, questo strumento attraverso il quale guardiamo il mondo, e dovrà tenere in considerazione con i suoi occhi la proposta artistica del padiglione». Oltre quella soglia che l’arte permette di varcare, per chi viene da fuori e per chi sta dentro.

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