La sopravvissuta a Evin: “Allarme repressione in Iran, stanno arrestando gli innocenti”

BERLINO – Nargess Eskandari-Gruenberg ha trascorso un anno e mezzo nelle carceri di Evin. Era incinta quando fu arrestata all’inizio degli anni Ottanta dal regime khomeinista e ha partorito in prigione, dopo essere stata torturata e umiliata al lungo. Nei giorni scorsi, quando sono cadute le bombe sul famigerato carcere iraniano, la vicesindaca di Francoforte è ripiombata nel terrore di quei mesi atroci, quando Teheran era sotto attacco dell’Iraq e le altre prigioniere erano “terrorizzate” e all’oscuro di tutto. Ma sui raid di Israele e degli Stati Uniti la politica dei Verdi è netta: “La guerra è quella che il regime islamico sta conducendo da tempo contro Israele”. I mullah devono essere cacciati: “L’Iran non è la Libia e non è l’Iraq”, dove il cambio di regime indotto dalle bombe ha prodotto pessimi risultati.

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Lei come si è sentita nei giorni in cui l’Iran è stato bombardato da Israele e dagli Stati Uniti?

“Innanzitutto, vorrei chiarire una cosa: la guerra è quella che il regime islamico sta conducendo da tempo contro Israele. Sin dall’inizio, i mullah hanno dichiarato che Israele dovesse essere annichilito. E a scuola si insegna ai bambini a odiare Israele, a gridare ‘Abbasso Israele’, ‘Morte a Israele’”.

Quindi Israele ha il diritto di difendersi e di puntare a distruggere il programma nucleare anche con le bombe?

“Il regime islamico ha sempre alimentato l’ostilità verso Israele, mentre Israele non ha mai attaccato l’Iran. E prima del regime khomeinista c’era una stretta amicizia tra il popolo iraniano e quello israeliano. Ricordo la mia infanzia, e ricordo quanto fossero stretti e amichevoli i rapporti tra i due paesi. C’erano anche molti ebrei che vivevano in Iran. Perciò trovo intollerabile che il regime rivendichi la legittimità di rappresentare un popolo che all’80% non lo sostiene. E che chieda il sostegno del popolo quando è in guerra con Israele, anche attraverso i suoi strumenti di guerra all’estero, gli Hezbollah, Hamas, gli Houthi e i mujaheddin. Tutti hanno fatto la guerra a Israele. E anche il 7 ottobre è stato il risultato di questa ostilità, di questa ragion di Stato contro Israele. Il risultato di questa guerra pluriennale è che questo regime non combatte solo contro Israele, ma contro il proprio popolo e la sua volontà”.

La prigione di Evin, dove lei ha trascorso un anno e mezzo, è stata colpita dai raid israeliani. Cosa le è passato per la testa?

“È stato molto toccante per me e mi ha profondamente colpito. Da anni questo regime imprigiona persone innocenti, intellettuali, cittadini che lottano per la libertà, artisti, cantanti, scrittori, registi. Io stessa ho assistito alla loro esecuzione. E durante la guerra Iran-Iraq ero a Evin, prigioniera. Sentivamo le bombe dalle celle. Ed è incredibile quanto terrorizzi, quanto ci si senta indifesi. Non sapevamo assolutamente cosa stesse succedendo, né cosa potesse accadere. Secondo la Convenzione di Ginevra, durante le guerra i prigionieri devono essere protetti. Il regime iraniano non lo ha fatto allora e non lo sta facendo adesso. Sono molto preoccupata per ciò che stanno facendo ai prigionieri. E la repressione sarà molto forte”.

È già iniziata: negli ultimi giorni sono state arrestate e giustiziate delle persone.

“Sì, in modo del tutto arbitrario, con l’accusa di essere spie di Israele. Stanno già andando di casa in casa e arrestando persone a caso”.

Ma tentare un cambio di regime con le bombe non è rischioso?

“Ciò che mi disturba personalmente è che all’estero si parli sempre di un accordo sul nucleare, di un dialogo con questo regime. Negoziare con i mullah è inutile. Perché nessuno parla con gli oppositori, in Iran che all’estero? Bisogna far sentire agli oppositori e ai dissidenti che il movimento per la libertà delle donne, che l’intero movimento di protesta, è sostenuto dai paesi democratici e dalle società civili. Con questo regime non ci sarà mai pace nemmeno per noi in Europa. È necessario, quindi, avviare un dialogo con l’opposizione. È un’opposizione molto eterogenea, che va dal figlio dello scià Reza Pahlavi ai liberali di sinistra. Ed è importante che l’opposizione resti unita, adesso, affinché ci sia una possibilità di un cambiamento di regime in Iran”.

Reza Pahlavi non è una figura troppo controversa per succedere al regime islamico? E l’opposizione all’estero non è stata sempre unita.

“Quello che dice Reza Pahlavi mi sembra ragionevole. Per quel che posso giudicare, sostiene i valori democratici. Ma comunque non parlerei di un ‘successore’. Ci sarà bisogno di organizzare una transizione, quando il regime islamico non ci sarà più. E un nuovo governo sarà eletto quando potranno svolgersi elezioni libere e democratiche”.

Quando gli americani o gli europei hanno cercato di introdurre un cambio di regime, pensiamo alla Libia dopo Gheddafi, all’Iraq dopo Saddam Hussein, o all’Afghanistan, è finita male.

«L’Iran non è la Siria. L’Iran non è la Libia. L’Iran è un Paese dove le persone, dove donne coraggiose lottano da anni per la libertà. E dove ci sono molti giovani intelligenti che vogliono un futuro. E questo regime non è mai stato debole come ora. A mio avviso, questo è il momento migliore per sostenere la rivolta in Iran».

L’attacco israelo-americano ha violato il diritto internazionale, come sostengono in molti? E pensi che l’ingerenza degli americani sia stata positiva?

“Negli ultimi anni abbiamo visto gli Houthi attaccare navi americane. E anche la Russia è stata sostenuta per anni dal regime iraniano nella sua guerra contro l’Ucraina. Il pericolo che il regime iraniano rappresenta per Israele è evidente. “Dal fiume al mare” non è solo uno slogan. Per questo motivo Israele deve avere il diritto di difendersi. La valutazione dal punto di vista del diritto internazionale è complessa. Anche il ruolo degli americani è difficile da giudicare. Ma il regime iraniano è un pericolo costante per tutti. E non solo nell’area, ma anche per gli Stati Uniti e l’Europa”.

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