Caldo estremo, fa male (anche) se si cerca di fare un figlio
L’Italia divorata da climi estremi, e il destino dei prossimi anni sarà probabilmente uguale se non peggiore. Temperature che arrivano a 40 gradi – e a Parigi, dove è in corso la quarantunesima edizione di Eshre, il congresso europeo di Embriologia e Medicina della Riproduzione ne sono previsti 38 – con poca escursione termica tra giorno e notte. Influiscono, e come, sulla riproduzione umana? Un recente documento dell’Eshre ha fatto il punto sui cambiamenti climatici, e su quello che si portano dietro: precipitazioni estreme, inquinamento atmosferico, alluvioni e incendi.
Procreazione assistita, più aborti e meno nascite se il papà è over 45
Tutto questo ha certamente effetti anche sulla fertilità umana, in termini complessivi, di nascite pretermine, aborti e basso peso alla nascita. E questo perché l’innalzamento delle temperature e l’aumento dell’inquinamento atmosferico sono associati a un peggioramento della qualità del seme maschile, con alterazioni nei parametri spermatici, riduzione del numero di spermatozoi e danni al DNA. Anche la riserva ovarica nelle donne può essere ridotta, con impatti negativi sul potenziale riproduttivo spontaneo e sulla risposta ai trattamenti di Pma, le tecniche di procreazione medicalmente assistita
Il nostro sistema riproduttivo? Labile
Circa tre miliardi di persone – secondo il report – vivono nel mondo in aree ad alta vulnerabilità climatica, con impatti notevoli anche in termini di salute sia sui sani che, ancora di più, su soggetti fragili come donne in gravidanza, bambini, anziani. “Sappiamo da tempo che un aumento di temperatura a livello testicolare anche solo di un grado – spiega Alberto Vaiarelli, ginecologo specialista in medicina della riproduzione e coordinatore scientifico del centro Genera di Roma – incide negativamente sulla qualità e la quantità degli spermatozoi. Il nostro sistema riproduttivo è labile e facilmente influenzabile dall’ambiente in cui viviamo, ma anche da una febbre o dall’assunzione di farmaci come gli antibiotici. Tutto quello che facciamo e il modo in cui viviamo influenza la nostra fertilità, e caldo e inquinamento certamente sono fattori importanti tanto che da qualche anno, nella nostra pratica clinica, osserviamo un numero sempre maggiore di casi in cui le cause dell’infertilità sembrano sempre meno legate a fattori non individuali ma ambientali. In un mondo che cambia, anche la salute riproduttiva chiede protezione. E il cambiamento climatico non è solo una minaccia per l’ambiente: è una sfida per la sopravvivenza stessa della specie umana”.
Fertilità maschile in calo dopo i 35 anni. Gli urologi: “Congelate gli spermatozoi”
A parte i rischi ambientali il punto su cui riflettere è un altro: non siamo motivati a fare figli. Nel 2024 l’Italia ha perso 9900 bambini rispetto all’anno precedente: un tracollo di natalità rispetto al milione di nati del 1964, cifra scesa a 379.900 nati del 2023 e 370mila del 2024. E se è vero che aumenta l’infertilità globale – 48 milioni di coppie al mondo, paesi poveri compresi, e 186 milioni di individui – l’allarme attuale è che siamo passati dal calmierare le nascite al ripensamento delle politiche per favorire le natalità. Nel 2020 48 paesi al mondo erano già sotto il livello di sostituzione fissato a 2.1 bambini per donna, nel 2100 la percentuale salirà al 93%. E’ una sfida per la sopravvivenza della specie umana”.
ll calo drastico delle ovodonazioni
“Non è solo un problema di infertilità ma di desiderio – continua Vaiarelli – perché i figli si fanno anche in condizioni estreme, basta guardare i dati dell’Africa subsahariana. Dobbiamo chiederci se non si fanno figli perché non si vuole o perché non si può. E aiutare chi non può, con politiche di pianificazione familiare che tengano conto dell’età e della specificità di ogni singola coppia. Anche perché c’è un altro allarme da affrontare: non ci sono più donatrici di ovociti, neppure in Spagna, dove il rimborso da mille euro è fermo da dieci anni e probabilmente non basta a compensare di tutti gli aspetti pratici e psicologici legati al prelievo di ovociti”.
Un percorso ad ostacoli
Insomma, fare un figlio, con o senza Pma, sembra davvero un percorso a ostacoli, tra effetti ambientali, scarso desiderio, fertilità in caduta libera. Ma quando chi invece vorrebbe fare un figlio dovrebbe preoccuparsi se non arriva? “Una coppia in cui la donna è giovane se dopo 12 mesi di rapporti non protetti durante la finestra del periodo fertile, che dura circa 5 giorni, non ottiene una gravidanza deve sottoporsi ad esami diagnostici – continua il ginecologo – se la donna ha più di 40 anni non bisogna andare oltre i sei mesi. Poi però c’è un altro problema: quando arrivano nei centri di Pma e fai l’anamnesi scopri che non hanno sufficienti rapporti sessuali, che non ci provano in maniera assidua a causa del lavoro, dei viaggi, della loro vita quotidiana”.
L’eccessiva fiducia nella Pma
L’altra variabile è l’eccessiva fiducia nella procreazione assistita. Mentre il tasso complessivo di gravidanze al primo tentativo, per donne di qualunque età, è del 28% al primo tentativo, e di 40 al secondo. Questi dati sono ovviamente diversissimi se si considera l’età femminile: in donne di 30 anni il successo al primo tentativo è tra il 50 e il 60%, in caso di fattori tubarici, a 40 anni la percentuale del primo tentativo è del 9% e sale al 42% soltanto al sesto tentativo, che poche perseguono. Un secondo tentativo però va sempre consigliato, anche a quelle propense ad abbondonare dopo il primo fallimento. “Molte donne non accettano il fallimento intrinseco legato a un percorso – continua Vaiarelli – ed è per questo che bisogna pensare a un percorso tagliato su misura della coppia che hai davanti, che tiene conto dell’età, ma anche della riserva ovarica e della qualità degli spermatozoi. Personalizzare il trattamento, insomma. Per evitare quella che noi chiamiamo discontinuità”. Ovvero coppie che mollano. E mollano anche nei centri pubblici, dove i trattamenti non sono onerosi.
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