Passa Sinner, si ferma Cobolli: una vittoria e una sconfitta con lo stesso valore
I 332 passi che separano la tribuna stampa del Centrale da quella del Campo 1 – siamo a Wimbledon, beninteso – sono decisivi per farmi raggiungere anche oggi l’obiettivo quotidiano sull’app Stepz, che ho fissato a quota 12500. Avant’indrè avant’indrè, alla Nilla Pizzi, non è un gran divertimento, ma lo faccio per una buona causa: vedere un po’ di Cobolli vs. Djokovic e un po’ di Sinner vs. Shelton e raccontarvi poi qualcosa, se vi siete perse le dirette in tv o sul web.
Alle tre e mezza, l’italiano e l’americano cominciano a scambiarsi pallate sulla Court No. 1, e subito si capisce che il primo privilegia il gioco, il secondo i servizi a 230 e passa chilometri all’ora. Tuttavia Jannik, che non mostra conseguenze della brutta botta al gomito destro rimediata contro Grigor Dimitrov lunedì sera, risulta più efficiente nei propri turni di servizio, che non lo vedono mai correre rischi (dirà più tardi in conferenza stampa: “Servendo, ho privilegiato la precisione alla potenza e alla velocità”). Il primo set va all’asta nel tie-break, e il numero 1 al mondo offre il giusto quand’è il momento, più accorto e concreto com’è (7-2).
Scappo via e raggiungo la Centre Court quando Cobolli sta servendo per restare agganciato al serbo, avanti 1-2 nel primo set. Nell’ora successiva di tennis ad alta intensità, il romano non arretra mai, riesce a recuperare – immediatamente e a zero! – il break patito nel settimo game e poi, nel tie-break, è incontenibile nell’accelerazione che lo porta a chiudere sull’8-6. Il pubblico londinese lo acclama come succedeva, poco meno di duemila anni fa, ai gladiatori nell’Anfiteatro, appunto, Flavio.
Altra corsa verso il secondo impianto dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club per raggiungere il settore 24. Trovo Sinner che s’organizza per chiudere in totale controllo la partita, dopo aver conquistato il secondo set grazie al break ottenuto all’ultima occasione utile, nel decimo gioco. Anche nel terzo parziale l’equilibrio si spezza quando Ben si scopre improvvisamente senza possibilità di recupero: avanti 5-4, Jannik, che è alla risposta, spreca due palle di break e di match, ma alla terza va a segno. La semifinale prenotata per venerdì gli costa 141 minuti di gioco e, forse, il sacrificio di un antidolorifico.
Nuovo back and forth, traduzione del lombardo avant’indrè: lascio il rosso della Val Badia che festeggia in campo con l’aplomb tipico degli alpeggi e torno al centrale. Cobolli – mi racconta Alessandro Merli – nel frattempo ha mostrato un calo di tensione nel secondo set, e “il caimano ne ha approfittato” per rimettersi in pari con i parziali. Il terzo set è equilibrato, con un break di Nole seguito da un controbreak.
Sul 5 pari, Flavio si fa però cogliere di sorpresa, cede il turno di servizio e stavolta non riesce a recuperare lo svantaggio. Il set che chiude i conti ha una progressione analoga, con il serbo in grado di far pesare ogni grammo della propria esperienza. Il punteggio finale a suo favore è 6-7 6-2 7-5 6-4. Controllo il contapassi: sono arrivato a 9534 passi, me ne basteranno 3000 per dormire tranquillo, senza sensi di colpa.
Mi limito a un paio di scarne considerazioni. Contrariamente alle attese dei pessimisti, Jannik è in forma eccellente. L’episodio dei due set lasciati a Dimitrov (che poi s’era ritirato per un infortunio ai muscoli pettorali) era dovuto al combinato disposto del timore di avere subito qualche danno serio scivolando a terra nel primo set, e dalle condizioni di luce e della superficie erbosa della Centre Court. Tra quarantott’ore, il test contro Djokovic sarà assai più probante di quello costituito da Shelton.
Di Cobolli non si può che dire un gran bene. All’esordio sul campo più iconico del tennis, per di più opposto all’idolo della sua infanzia e adolescenza, il figlio d’arte (papà Stefano fu un buon giocatore vent’anni fa) cresciuto al Circolo Parioli ha confermato maturità, tecnica e preparazione atletica all’altezza dei migliori al mondo.
Lascia Londra da numero 19 ATP. Avendo grandi margini di crescita, può ambire a una seconda parte di stagione ricca di soddisfazioni. La giornata molto italiana a Wimbledon ha un altro protagonista: è Fabio Fognini, il più estroso azzurro dell’era moderna, che ha scelto il Media Theatre dell’AELTC per dare l’addio al tennis. “È ufficiale. Saluto tutti”, ha detto con un sorriso appena velato di malinconia. A 38 anni, lascia con all’attivo nove titoli ATP, un Australian Open in doppio con Simone Bolelli e innumerevoli partite giocate contro Roger, Rafa e Nole: “Era impossibile vincere uno slam contro quei tre, ma ho avuto il privilegio di giocarci contro”. E di batterne uno, Nadal, più di una volta.
Fognini ha deciso da solo, come un vero tennista solitario. “Ho parlato con Flavia due giorni fa. Le ho detto che questa era la mia decisione. Lei ha detto: ‘Ok, devi dirlo’”. Nessun addio orchestrato: solo una partita, quella risolta al quinto set la scorsa settimana contro Carlos Alcaraz, che è perfetta per essere l’ultima. Poi una stretta di mano e una fotografia da conservare.
Il sogno di Fabio era chiudere l’anno prossimo a Monte Carlo, vicino ad Arma di Taggia, dove ha vinto il suo unico Masters 1000 nel 2019, ma il fisico ha presentato il conto. “Negli ultimi tre anni ho sofferto molto per gli infortuni. Ma ora devo essere onesto: non voglio tornare su palcoscenici dove non desidero più stare, come sono i Challenger”. Ci sono un rammarico – non avere costruito un buon rapporto con i media – e il desiderio di essere ricordato per il gioco espresso e non per le intemperanze di troppo, che qualche volta hanno contrariato il pubblico. Non s’allontanerà dal mondo del tennis, forse lo ritroveremo manager o coach: se accadrò, sarà dopo la prima estate che dedicherà interamente alla famiglia.
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