Luciano Violante: “Non dirò mai chi mi convinse che Sofri era colpevole”

Ecco la lettera di Adriano Sofri pubblicata da Repubblica nella rubrica di Francesco Merlo “Posta e risposta” martedì 8 luglio;

Caro Merlo, ho letto dell’ultimo incarico accettato da Luciano Violante, il quale spiegherà la Costituzione nel programma di Diaco per Raidue BellaMa. Quando fui coimputato dell’omicidio di Luigi Calabresi, e si sollevarono dubbi sull’imputazione e sulla conduzione dell’indagine, Violante si dichiarò convinto della mia colpevolezza perché c’era a provarla «una fonte non ostensibile». Interrogato su quale fosse questa “fonte”, disse di non saperlo. Ora, siccome si fa tardi, chiederei a Violante di dire, se non chi fosse la “fonte”, almeno chi lo avesse detto a lui, così autorevolmente da persuaderlo della mia colpa. Al di là della mia antica curiosità, non crede che la questione abbia a che fare col proposito di spiegare la Costituzione?

Adriano Sofri

Non ci liberiamo delle ombre. Adriano Sofri ha scritto una lettera a Repubblica per chiedere a Luciano Violante di dire quale fosse la «fonte non ostensibile» che lo aveva convinto, ai tempi del processo per l’omicidio Calabresi, della sua colpevolezza. Il sottotesto è che chi è chiamato in Rai a parlare di Costituzione dovrebbe fare della trasparenza una pratica quotidiana. Tanto più se è un uomo delle istituzioni.

Presidente Violante, non crede sia sbagliato contribuire all’opacità su vicende che hanno causato tanto dolore?

«L’opacità è solo di chi pensa una cosa del genere. Un amico, un sodale di Sofri, nel 1993 mi chiese di sottoscrivere un appello per la sua innocenza. Dissi di no perché ero convinto della sua responsabilità e perché avevo una fonte, che non potevo rivelare, che aveva consolidato quella mia convinzione».

Perché non dire di chi si trattava? Per valutare il peso di quella fonte?

«Era una notizia a carico e non entrò nel processo. Se una persona mi vincola alla riservatezza io rispetto quell’impegno».

E perché non dirlo oggi?

«La serietà non va in prescrizione. Quella dichiarazione non fu fatta in sede giudiziale o in un evento pubblico».

Lei era il presidente della commissione Antimafia, quella sua convinzione si diffuse e poteva avere un’influenza importante su un processo in corso.

«Ripeto, era una notizia contro la persona poi condannata. La sentenza si basa su fatti, non su opinioni».

Di quegli anni terribili abbiamo un quadro ancora opaco, fitto di trame segrete. Chi ha rappresentato le istituzioni non avrebbe dovuto contribuire alla verità e alla trasparenza?

«Bisogna distinguere tra chi si impegnò, chi ostacolò e chi non fece nulla, altrimenti si cade nel complottismo».

Il complottismo lo alimentano i segreti.

«Del terrorismo rosso si sa sostanzialmente tutto, tranne sull’assassinio di Moro su cui restano molte ombre. Il terrorismo nero, il terrorismo stragista, è stato caratterizzato da molti più misteri».

Tanto che qualcuno anche vicino alla maggioranza di governo mette in dubbio la verità giudiziaria sulla strage di Bologna.

«Ci sono stati depistaggi, manipolazioni, perché c’era l’interesse di qualche soggetto al potere di nascondere la verità. Ma chi avalla quelle narrazioni non ha ruoli istituzionali, è una scheggia».

Parlerà di Costituzione in Rai, nella trasmissione di Pierluigi Diaco “BellaMa’”. Che si spera non sia inteso come “bella, ma la cambierei”.

«Certo che no. Si tratta di una trasmissione pomeridiana. Credo sia un dovere per chi ha lavorato al consolidamento dei valori costituzionali sia come magistrato che come parlamentare e professore universitario parlare della Carta a un pubblico popolare. La considero una restituzione per quello che ho imparato».

Si trova a suo agio in una Rai che la sua parte politica considera “meloniana”?

«Il difetto profondo di una parte della sinistra è stato credere che bisogna parlare solo a chi la pensa come noi. Io invece penso che la politica consista nello spostare forze. Credo sia il senso della democrazia. Quelli che parlano solo ai simili spendono il tempo a congratularsi reciprocamente, e se parli con l’avversario ti accusano di tradimento».

È un avversario del centrodestra?

«Certo, sono un avversario politico, sono comunista nel senso che i valori di giustizia, di equità, di giustizia sociale li ho imparati nel Pci. Sono iscritto al Pd».

È stato tra i primi a dire che bisognava capire i ragazzi di Salò.

«In realtà il terzo, dopo Togliatti in un discorso del ’54 ai giovani comunisti e Amendola. Ho avuto dei parenti uccisi nei lager, io stesso sono nato in un campo di concentramento, pensa possa considerare quella storia giustificabile? Certo che no. Non si tratta di rendere omaggio, ma di cercare di capire».

Sa però che negli anni la destra ha tentato un’equiparazione, come tra foibe e Shoah.

«Lo ha fatto ed è gravissimo. Quando si istituì la Giornata della memoria io ero presidente della Camera e vennero a chiedermi di onorare nella stessa legge la tragedia delle foibe. Ho detto no: lo farete un’altra volta e io voterò la legge. Ma se la sinistra avesse affrontato dall’inizio il problema, sarebbe stato meglio. La Dc non voleva parlarne perché Tito era tra i non allineati, e il Pci non poteva farlo perché avevano sostenuto l’annessione di Trieste alla Jugoslavia. Così il Movimento sociale si impossessò del tema. Era un suo diritto politico».

Il governo vuole cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza. Ci ha provato con l’autonomia, ora lo fa con il premierato.

«Ritengo che i vizi della politica non debbano essere trasformati in vizi delle istituzioni. Questo è un governo stabile; dimostra che la stabilità non dipende dalle regole, ma dai partiti. Quella riforma è sbagliata e l’ho detto in un convegno anche davanti a Giorgia Meloni. I vertici della Repubblica sarebbero due, il presidente del Consiglio e il capo dello Stato, uno eletto dal popolo e uno dal Parlamento e quindi con minore legittimazione».

Non è strano che un ministro della Giustizia passi le giornate a criticare i giudici?

«C’è un vecchio principio che risale a Machiavelli: quando si apre un conflitto bisogna essere capaci di chiuderlo. Mi pare che il ministro Nordio, che io apprezzo, ne apra quotidianamente uno senza chiuderne nessuno. È come se il ministro degli Interni criticasse ogni giorno i prefetti».

Lei ha un giudizio molto duro su Trump e Netanyahu, sul mancato rispetto degli organismi internazionali, sulla forza che intende prevalere sul diritto. La preoccupa che Meloni si dica affine al trumpismo?

«Non mi pare si parli di affinità».

La premier ha detto più volte che si tratta della sua parte politica e di voler essere un ponte.

«Quella è un’altra cosa, ma non si può stare dalla parte di Trump».

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