Fedez, le confessioni sul tentato suicidio: “Senza gli psicofarmaci, il buio”
Dalla fine del matrimonio con Chiara Ferragni all’ultimo Sanremo, passando per la malattia e altri momenti molto complicati: Fedez affida le sue confessioni a un libro autobiografico ormai prossimo alla pubblicazione di cui ha anticipato alcuni passaggi attraverso alcune storie Instagram.
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“Ero su quel palco, incapace di gestire il caos, ma anche in mille altri posti. In tutte le case dell’ultimo anno, su tutti i letti d’ospedale, sui divani dei litigi, nei locali dove mi sono rifugiato e ho fatto casini. Davanti alle facce che ho lasciato si coprissero di lacrime, le facce di chi, sfinito, sfinita, mi ha detto basta”, scrive Fedez parlando della partecipazione al Festival di Sanremo con il brano Battito. “Ho tenuto gli occhi chiusi per non essere travolto, per arrivare alla fine della sola canzone che avrei potuto cantare in questo momento: tornare su quel palco, dove è iniziata la fine di tutto”, continua alludendo alla fine della relazione con Chiara Ferragni.
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“Dove ho esagerato, mi è stato detto, urlato – si legge ancora nelle stories – Dove non ho avuto rispetto. Tornarci con un pezzo che è stato il mio modo di vedere davvero quello che ci è successo, quello che ho fatto. Poi ho aperto gli occhi, le pupille nere, ultradilatate. Petrolio, buco nero, ‘il paziente non è cosciente”.
Il lungo sfogo di Fedez continua: “Come con le sostanze, come coi farmaci che avrebbero dovuto salvarmi e non l’hanno fatto. Questa che leggerete è la storia di uno che non ce l’ha fatta. Le persone credono che io decida, pianifichi, organizzi: io sono il manipolatore, lo stratega, io sono la falena”, scrive chiaramente rivolto alle accuse di Selvaggia Lucarelli.
Poi arrivano le parti più dure: “Ambizione? Narcisismo? Io so solo che ho quasi smesso di vivere: io non so quanto mi resta da vivere. Quando sto da solo, i demoni arrivano. Proprio i demoni, senza volto o con il mio: con gli occhi neri, come i miei a Sanremo. Dita lunghe e sguardi vuoti. E quindi esco. Parlo con gente. Gente che conosco da sempre o che ho appena conosciuto, non importa”.
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A pagina 63 del suo libro arriva la parte più scioccante: quella del tentato suicidio. “Non è il salto. Non è il colpo. Non è l’atto in sé. È tutto quello che succede prima. È la gestazione. Figlia di un lungo periodo di progettazione di tale atto. Un feto che cresce nel buio del cranio, che ti sussurra piano, ogni giorno, ‘basta’. Io ci sono arrivato dopo aver mollato gli psicofarmaci di botto come si butta via un pacchetto di sigarette vuoto”. La sospensione degli psicofarmaci ha aggravato la sua salute mentale: “Ma quelle bastarde erano diventate la mia pelle, la mia lingua, il mio pensiero. E quando le ho mollate il cervello ha cominciato a urlare. Come quando ti disintossichi dall’eroina. Dieci giorni. Crampi. Le gambe come blocchi di carne molle. I sogni si mangiavano la realtà, mi svegliavo e non capivo se ero sveglio o solo in un altro livello di inferno. Un tunnel. Ma mica con la luce in fondo. Solo cemento e buio e i miei occhi. Il dopo è stato peggio. Perché il corpo ha smesso di tremare, la testa era una stanza chiusa a chiave. Il mio cervello gridava per avere la sua dose e non c’era nessuno”.
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