Più forniture da Asia ed Europa

“Dopo la guerra in Ucraina, l’Europa ha dovuto rinunciare al gas russo via tubo e oggi affronta una competizione più accesa sul mercato mondiale. Sviluppare più gas e Gnl in Asia significa non solo soddisfare la domanda locale, ma anche liberare volumi preziosi per il vecchio continente”. Guido Brusco, chief operating officer global natural resources di Eni, sintetizza così la logica che guida la società del cane a sei zampe nelle scelte di investimento in Asia. Il gas resta al centro della strategia di Eni, che punta a portare questa risorsa al 60% del suo mix produttivo entro il 2030 ed al 90% entro il 2050. “Vogliamo posizionarci come major del gas”, spiega Brusco. “È il combustibile fossile con la minore impronta carbonica e garantisce flessibilità, rapidità di utilizzo ed è fondamentale per il carico di base”.

Lo scenario globale resta instabile. “Già nel post-pandemia la crescita della domanda di energia contro investimenti insufficienti aveva innescato tensioni sui prezzi, poi acuite dalla guerra in Ucraina”, ricorda Brusco. “Oggi nuove incertezze, come la situazione in Palestina e le tensioni in Iran, continuano a generare instabilità e volatilità sui mercati, mentre vari Paesi perseguono politiche di neutralità carbonica”. Eppure, la domanda di gas è destinata a crescere. “Serve per garantire continuità energetica, sostituire il carbone — che copre ancora il 35% della produzione elettrica mondiale — e dare accesso all’energia a oltre 700 milioni di persone che ne sono ancora prive”, sottolinea il coo.

Particolare attenzione è rivolta all’Asia, dove la domanda di gas naturale liquefatto è prevista raddoppiare entro il 2050. “Attualmente l’Asia importa circa 270 milioni di tonnellate annue di Gnl, che potrebbero salire a 500 milioni”, spiega Brusco. “La Cina è il principale motore di questa crescita, con 76 milioni di tonnellate già oggi e una domanda che raddoppierà entro il 2032”. Il passaggio europeo al Gnl ha imposto di competere con l’Asia e di accettare oscillazioni di prezzo maggiori. “Eravamo abituati a contratti di lungo termine via pipeline, più stabili e meno volatili”, osserva il coo. Per il futuro si prevede l’arrivo di nuovi progetti di gas naturale liquefatto da Stati Uniti, Qatar e Canada, che potrebbero bilanciare il mercato a partire dalla seconda metà del 2026. “Ma molto dipenderà dalla domanda: se l’economia tirerà di più o aumenteranno gli sforzi per sostituire il carbone, potremmo vedere nuovi squilibri”.

Eni si muove in questo scenario con una strategia che vede nell’accordo con Petronas un tassello chiave. In Malesia e Indonesia la società si prepara ad applicare il modello già sperimentato in Norvegia e Angola, basato sul concetto di “business combination”, evoluzione del tradizionale “dual exploration”. “Non si tratta solo di vendere asset — afferma Brusco — ma di creare società integrate con partner finanziari o industriali”.Il cronoprogramma prevede che la joint venture diventi operativa nel 2026. “Abbiamo già raggiunto uno stadio avanzato negli accordi commerciali che prevediamo di firmare entro l’anno — precisa — poi serviranno altri 4-5 mesi per completare le approvazioni governative e antitrust”. La nuova società partirà con circa 3 miliardi di barili equivalenti di risorse già sviluppate e con un potenziale esplorativo di altri 10 miliardi. “Prevediamo che questi 10 miliardi possano tradursi in 3-6 miliardi di risorse effettive”, aggiunge Brusco.

Dopo oltre vent’anni di presenza in Indonesia, Eni punta inoltre a fare del bacino del Kutei un hub strategico. “Oggi produciamo già circa 20 milioni di metri cubi (mc) al giorno con il polo di Jangkrik, che grazie alle scoperte fatte manterremo su questi livelli produttivi per i prossimi 10-15 anni”, spiega. La crescita futura sarà guidata dal nuovo polo Geng: “Avrà una capacità fra 30 e 35 milioni di mc al giorno di gas e circa 80.000 barili di liquidi. L’avvio è previsto verso fine 2028”. Il bacino offre anche un potenziale esplorativo importante, stimato in oltre 850 miliardi di mc. “Possiamo concentrare gli investimenti sull’offshore e sfruttare le infrastrutture di liquefazione esistenti a terra”, sottolinea. Eni lavora anche alla decarbonizzazione dell’area. “La cattura e stoccaggio della CO2 è una delle nostre leve più importanti — prosegue il coo — Abbiamo una pipeline di progetti in Europa e stiamo discutendo iniziative nel Far East e in Australia”.

Un altro pilastro sono i biocarburanti e il Saf, cioè il combustibile sostenibile per l’aviazione. “Oltre alle bioraffinerie operative in Italia (Gela e Porto Marghera), ne abbiamo un’altra in riconversione in Italia e due in costruzione in Corea del Sud e in Malesia con un modello integrato che include la produzione del feedstock agricolo su terreni marginali o degradati che non sono in contrasto con la catena alimentare”.

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