I competitor che non ti aspetti: quando l’industria decide di entrare nel retail

Una volta i ruoli erano netti. Chi produceva, produceva. Chi vendeva, vendeva. Oggi quelle linee si sono fatte porose, mobili. Ed è così che un gruppo come NewPrinces – nato dall’integrazione di Newlat e Princes, abituato a macinare latte, pasta, conserve e mdd – decide di fare un salto che nessuno avrebbe immaginato: acquistare Carrefour Italia. Non è una semplice cronaca finanziaria. È un segnale potente di come l’industria, stanca di restare dietro le quinte, scelga di giocare in prima persona sul palcoscenico della distribuzione. Con l’acquisizione di oltre 1.100 punti di vendita, un pacchetto di immobili stimato in 420 milioni di euro e un contributo straordinario di 237,5 milioni lasciato da Carrefour per “ripulire” la società, NewPrinces non compra solo scaffali e magazzini: compra controllo, dati, leve negoziali. Può ripensare gli ipermercati in chiave B2B, testare nuovi format, persino spacchettare e cedere punti di vendita in cambio di spazio privilegiato per i propri brand. Un ex fornitore che diventa competitor. Un cliente che diventa rivale. La gdo tradizionale è avvisata.

Non è un caso isolato

Chi pensa che questa mossa sia un unicum italiano si sbaglia. All’estero l’industria che scende nel retail ha già scritto pagine memorabili. Quando Amazon ha comprato Whole Foods per 13,7 miliardi di dollari non ha solo acquistato supermercati bio. Ha portato in casa punti di contatto diretti con il cliente, logistica capillare, la possibilità di testare servizi come il ritiro in store o la spesa online con tempi da record. Un colosso digitale che diventa retailer fisico. Nel 2020, Mondel?z, leader mondiale nel settore snack, ha acquisito Give & Go Bakery per presidiare il canale in store bakery. Un produttore non si accontenta più di fornire prodotti: vuole controllare come e dove arrivano al consumatore, vuole testare in prima persona.

Anche fuori dal food

Nel fashion, lo fa Inditex con Zara, Massimo Dutti e gli altri marchi del gruppo: disegna, produce, distribuisce, controlla ogni passaggio. Niente intermediari, velocità di reazione, margini che restano in casa. Nel tech lo fa Apple con i suoi Apple Store, luoghi dove il prodotto non si limita a vendersi ma si racconta, si prova, si ripara. Nel beauty lo fa Sephora, intrecciando marchi proprietari e brand ospiti, trasformando il punto di vendita in un laboratorio commerciale e creativo.

Perché succede ora

Margini sempre più compressi; filiere più fragili; clienti meno fedeli. In questo contesto, l’industria capisce che non basta più fare prodotto: bisogna sapere chi lo compra, quando e dove. Possedere un punto di vendita significa avere dati, velocità di test, leva contrattuale. Significa poter dire a un gruppo: “Ti cedo quell’immobile, ma mi garantisci spazio per la mia mdd”. Significa usare il retail come campo di prova, non più come semplice sbocco commerciale.

I ruoli cambiano, i confini scompaiono

Cosa farà NewPrinces domani? Potrebbe tenere la rete, oppure spacchettare, vendere, riconvertire. Ma una cosa è certa, non è più solo un produttore: è diventato un player che cambia le regole del gioco. E non è solo, Amazon, Mondel?z, Apple, Inditex… la lista dei competitor che non ti aspetti è lunga e in continua crescita. Nel retail, oggi, guardare solo ai soliti avversari non basta più. Il vero rivale potrebbe essere quello che fino a ieri ti portava la merce in magazzino ed è già pronto a bussare alla porta, con un carico di prodotti tutti suoi.

*direttore di Markup e Gdoweek

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