Punite India e Brasile con dazi fino al 50%. Powell resiste a Trump: “No al taglio dei tassi”

NEW YORK – Jerome Powell non molla. E a dispetto delle pressioni di Donald Trump, che ieri ha preso di mira l’India con tariffe al 25% e ha fissato un super dazio al 50% per il Brasile, annuncia che la Federal Reserve manterrà i tassi d’interesse stabili nell’intervallo 4,25-4,50%. Rifiutando di dare indicazioni sul quando sceglierà di abbassarli: la crescita economica «si è moderata nella prima metà dell’anno», rafforzando l’ipotesi di cali futuri. Ma «l’incertezza sulle prospettive economiche resta elevata».

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Una decisione presa col voto contrario di due governatori e fra le frecciate velenose di Trump. Arrivate fin dal mattino, subito dopo la pubblicazione dei dati positivi del Pil statunitense, su del 3% nel secondo trimestre e dunque superiori alle aspettative: «“Too late” dovrebbe abbassare il costo del denaro e lasciare che la gente compri o rifinanzi le proprie case» ha dunque tuonato The Donald via social ancor prima della riunione del Fomc, il comitato che decide la politica monetaria. Riferendosi a come i tassi alti stiano congelando il mercato immobiliare. E usando il nomignolo dispregiativo “troppo tardi” affibbiato all’economista, che pure lui chiamò nel 2018 alla guida della Banca Centrale americana. Salvo poi annoverarlo tra i nemici per le scelte non abbastanza accomodanti con le sue esigenze politiche. Tanto che, pur di mandarlo a casa, lo sta perfino accusando di aver sforato il budget della ristrutturazione della sede della Fed, a 2,5 miliardi di dollari.

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«Le misure a breve termine delle aspettative d’inflazione sono complessivamente aumentate nel corso dell’anno a seguito delle notizie sui dazi», ha spiegato Powell durante la conferenza stampa dopo la riunione. «Ma i cambiamenti nelle politiche governative continuano a evolversi e i loro effetti restano incerti. L’aumento dei dazi ha iniziato a riflettersi più chiaramente sui prezzi di alcuni beni, ma le conseguenze complessive su economia e inflazione restano da valutare». Attesa, dunque: «Gli effetti sull’inflazione potrebbero essere di breve durata, ma è possibile che siano più persistenti. Un rischio da valutare e gestire».

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Tanto più che proprio ieri Trump ha confermato via social che non ci saranno proroghe all’entrata in vigore dei nuovi tributi: «Il primo agosto vale per tutti». Compresa quella che ha definito «amica India»: tartassata con «dazi del 25 per cento più una penalità per l’acquisto di armi ed energia dalla Russia». Primo esempio di sanzioni secondarie minacciate contro Mosca e i suoi partner commerciali allo scadere dell’ultimatum di 10 giorni al Cremlino per mettere fine alla guerra. Penalizzando brutalmente e per motivi politici il “nemico” Brasile di Lula de Silva con dazi al 50 per cento: accusato di aver avviato una «caccia alle streghe» contro il golpista Bolsonaro.

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Insomma, per la Fed le politiche commerciali di Trump restano da valutare: «Presto avremo elementi per calcolare gli esiti delle scelte della Casa Bianca». Tenendo conto pure delle flessioni del dollaro iniziate a metà gennaio – potenziale fonte d’inflazione – mentre «il tasso di disoccupazione resta basso e le condizioni del mercato del lavoro rimangono solide».

Per la prima volta dal 1993, non tutti sono d’accordo. Due voti di dissenso sono stati espressi dai governatori di nomina trumpiana Christopher Waller e Michelle Bowman, convinti che gli aumenti provocati dai dazi abbiano «impatti minimi». Tanto che il Wall Street Journal insinua: «La Fed è entrata in campagna elettorale», ipotizzando pure i papabili alla successione di Powell: il segretario al Tesoro Scott Bessent, l’ex governatore Kevin Warsh e il direttore del National Economic Council, Kevin Hassett.

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La maggioranza del Fomc concorda però con Powell: l’inflazione è ancora oltre gli obiettivi e i rischi inflazionistici persistono. Trump, però si è detto deluso delle decisioni di Powell ancor prima di sentirlo parlare: «Non si sa perché non abbassa i tassi. È sempre in ritardo. Ma ogni punto che lui mantiene ci costa 365 miliardi di dollari l’anno». Powell, non si è scomposto: «Abbiamo due obiettivi: massima occupazione e prezzi stabili. Finché serviamo il bene pubblico, la nostra indipendenza va rispettata e mantenuta».

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