Bonamico e quella generazione vincente nel basket dei nostri anni migliori
La morte di Marco Bonamico, scomparso oggi 4 agosto a Bologna a 68 anni, dopo una breve fulminante malattia, fa riaffiorare assieme a lui, in larghe memorie collettive, gli altri giganti del tempo più felice della pallacanestro italiana, tuttora evocatissimo, da chi lo vide e lo visse. Eppure il Marine aveva smesso di assaltare trent’anni fa, e vinto scudetti più di quaranta (1984) e quasi cinquanta (1976).
Però resistono nel ricordo, lui e gli altri dei favolosi anni Ottanta, come compagni di banco di stagioni migliori. Un basket da bere, ricco e felice. C’è stato poi altro di bello, a seguire.
Nuovi primattori e successi trionfali. Ma la memoria più tenace s’è ispessita intorno a Bonamico and friends, e non sarà un caso che su quegli anni penda pure Spagna ‘82, il più indimenticabile dei nostri Mondiali di calcio. Stagioni migliori, già.
Non da attore protagonista, ma da irrinunciabile membro della ciurma azzurra, Bonamico servì l’Italia di Sandro Gamba che stivò in tre anni due conquiste storiche: l’argento di Mosca ‘80 e l’oro di Nantes ‘83. La prima fu l’Olimpiade che, disertata dagli americani, l’Unione Sovietica non poteva mai perdere, per potenza propria e urgenze di guerra fredda: l’Italia l’abbattè in casa sua, prima di arrendersi in finale alla Jugoslavia ai tempi unita.
La seconda fu un campionato Europeo che si tinse di sangue e arena, quando nel match contro la stessa Jugoslavia si videro giocatori inseguirsi a tutto campo a forbici sguainate.
Passata quella, giocando meglio a basket anzichè far rissa, la finale con la Spagna fu una parata. Giganti d’epoca. Tutti o quasi ancora fra noi: prima di Bonamico, solo Marco Solfrini, venuto a mancare nel 2018, a 60 anni. Il fil di ferro delle due nazionali, i due terzi dell’impianto base, erano gli otto giocatori presenti sia in Russia che in Francia.
Di più, ai Giochi, Silvester, Generali, Della Fiori e proprio Solfrini. E invece, agli Europei, Caglieris, Riva, Costa e Tonut. Il totem indiscusso era Dino Meneghin, che oggi ne farebbe 75 e almeno dieci, con le odierne deregulation del mercato, li avrebbe passati nella Nba. Stava lui al centro del sistema, e non solo per il ruolo di pivot, ma per classe, energia, carattere, carisma.
La prima punta, a monte dell’irruzione di Antonello Riva (il più giovane di tutti, oggi sarebbero 63), era Renato Villalta (70), il dioscuro di Bonamico alla Virtus Bologna. Una guardia e un’ala che segnavano tanto, e sarebbe stato tantissimo, ci fosse stato il tiro da tre, introdotto dopo l’84.
Dei registi, una fioritura irripetibile e irripetuta nel giardino d’Italia, Pierluigi Marzorati (73) sprigionava genio e atletismo e Roberto Brunamonti (66) faceva balenare l’evoluzione della specie del play più alto e prestante preteso dal prossimo basket.
Meo Sacchetti (72), grosso e leggero, traduceva in sapienza tattica il paradosso del calabrone (non dovrebbe, eppure vola). Enrico Gilardi (68) portava Roma nel gruppo dove imperava il nord. Renzo Vecchiato (70) alzava il muro di chili e centimetri laddove non bastava Meneghin. E poi c’era Bonamico, tristemente salutato stamattina.
Il Marine degli assalti al ferro, l’incursore tutta grinta che col tempo si sarebbe affinata in tecnica, anzitutto col tiro, migliorato anno dopo anno. Il campione del passato che da oggi manca al presente di tutti.
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