La gazza ladra, un piccolo grande film sulla dignità degli invisibili. In streaming su MYmovies
Cosa spinge una donna mite, premurosa, con la passione per le ostriche e per Chopin, a diventare una ladra? Non c’è mistero né colpo di scena in La gazza ladra di Robert Guédiguian, eppure ogni gesto della sua protagonista – Maria, interpretata con grazia dolorosa da Ariane Ascaride – ha il sapore di una piccola, silenziosa ribellione.
Ambientato come sempre nel quartiere marsigliese de L’Estaque, luogo caro al regista, il film racconta una vicenda semplice e toccante che parla di legami familiari, piccoli gesti quotidiani e di quel bisogno profondo – e spesso disatteso – di bellezza e riscatto.
La protagonista è una donna alle soglie della terza età che lavora come badante per arrotondare una pensione troppo magra. Vive con un marito affettuoso ma instabile, dedito al gioco d’azzardo e nutre un amore smisurato per il nipote, al quale vuole offrire un’opportunità di riscatto facendogli studiare musica.
Ed è proprio per sostenere le sue lezioni di pianoforte che Maria inizia a compiere piccoli furti nelle case in cui lavora: sottrae assegni, si appropria di oggetti e denaro, accumula con pazienza quel poco che serve a coltivarne il sogno.
Come la gazza del titolo – e come nell’ouverture rossiniana che ritorna come leitmotiv musicale – Maria ruba ciò che luccica, incanta e sembra irraggiungibile.
Guédiguian affronta questo gesto “colpevole” senza mai indulgere nel moralismo. Al contrario, costruisce una riflessione straordinaria sulla fragilità, sulla povertà e sul desiderio di bellezza che anima anche chi non ha nulla.
Con una soluzione drammaturgica di rara intelligenza, il furto diventa il mezzo attraverso cui una donna si ribella a un ordine sociale che non contempla la felicità per gli ultimi. E quando la verità viene scoperta e Maria si ritrova al centro di una crisi che potrebbe distruggere la fiducia degli altri, è proprio la forza del legame comunitario a offrire la possibilità di un perdono.
La gazza ladra è dunque un film sulla solidarietà, sull’errore e sulla redenzione, ma anche sul desiderio – profondamente umano – di sfuggire all’angustia della necessità.
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In un mondo segnato dalla precarietà e dalla stanchezza, Guédiguian filma la ricerca testarda di quella gioia che passa attraverso la cura dell’altro.
Ancora una volta, come nei suoi film più belli (Marius et Jeannette, Le nevi del Kilimangiaro), il regista costruisce un affresco in cui ogni personaggio, anche il più marginale, è magistralmente tratteggiato.
Ma qui aggiunge un tono più lieve, quasi fiabesco, che accompagna lo spettatore verso un finale sospeso tra il sorriso e la malinconia. Non c’è cinismo, non c’è punizione: c’è solo il desiderio di continuare a vivere insieme, nonostante tutto.
Il risultato è un’opera che parla di povertà senza mai essere miserabilista e che invita lo spettatore a guardare la debolezza con occhi nuovi: non come colpa, ma come logo in cui può germogliare la tenerezza. Un piccolo grande film sulla dignità degli invisibili.
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