Al Cern petizione di mille scienziati contro Israele: tra i firmatari anche Carlo Rovelli
C’è un luogo in cui israeliani e palestinesi continuano a lavorare insieme. E’ il Cern di Ginevra, il laboratorio europeo dedicato alla fisica delle particelle. Israele ne è membro dal 2014. La Palestina vi partecipa con una manciata di scienziati. Il disagio per il conflitto è arrivato però anche qui. Questa settimana ha preso la forma di una petizione discussa, ridiscussa, limata e riaggiustata. Il testo attuale è stato firmato da oltre 1.100 membri del Cern, di università e altri istituti di ricerca di fisica. La maggioranza sono italiani. Fra i firmatari c’è anche lo scienziato e scrittore Carlo Rovelli. Un centinaio di aderenti hanno preferito restare anonimi, indicando al massimo la nazionalità.
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La petizione condanna il governo di Israele per aver “bloccato cibo, acqua e carburante alla Striscia di Gaza”. Cita il discorso di Josep Borrell (ex responsabile europeo per la politica estera) che definisce genocidio la politica di Tel Aviv. Chiede la fine “dello stato di guerra imposto dal governo israeliano ai palestinesi”. Infine fa appello al Council (l’organo di governo del Cern) affinché si assicuri che nessun membro del centro di ricerca abbia legami diretti o indiretti con la guerra e che nessun risultato scientifico possa avere dual use, cioè possa essere sfruttato anche indirettamente per fini bellici.
La frase più controversa riguarda l’invito rivolto al Council a “prendere le misure necessarie per assicurare che nessuno dei collaboratori del Cern diventi direttamente o indirettamente complice delle campagne terroristiche e militari in medio oriente”. I ricercatori israeliani, chiamati di norma a prestare servizio militare, rientrerebbero in questa categoria. Rischierebbero dunque, secondo la petizione, di essere esclusi dal laboratorio di Ginevra.
La petizione degli scienziati del Cern è stata diffusa dopo varie discussioni interne e aggiustamenti sul contenuto. Segue di pochi giorni un’iniziativa che ha lasciato l’amaro in bocca alla comunità dei fisici di Ginevra: il primo agosto un paio di ricercatori si sono avvicinati alla fila delle bandiere dei paesi membri che sventolano all’ingresso del Cern e hanno ammainato quella bianca e azzurra con la stella di David. Poi l’hanno gettata nella spazzatura.
Il gesto ha colpito perché il Cern è nato nel 1954 come uno degli enti fondatori della nuova Europa. Il suo scopo era di riunire nel nome della scienza i paesi che si erano massacrati in guerra. Fra le sue regole ci sono l’obbligo di rendere pubblico ogni risultato scientifico, la cooperazione fra gli scienziati di tutti i paesi e il divieto di lavorare per scopi militari. Durante la guerra fredda il laboratorio di Ginevra è rimasto un luogo di incontro per gli scienziati dei due blocchi. E proprio in medio oriente, ad Allan in Giordania, è attivo dal 2017 un laboratorio di fisica creato da Cern e Unesco nel quale collaborano Cipro, Egitto, Iran, Israele, Giordania, Pakistan, Palestina e Turchia.
Solo con l’invasione russa dell’Ucraina i dilemmi geopolitici hanno incrinato il principio del Cern di restare sempre al di sopra di guerre e tensioni. Il 30 novembre 2024 il centro di Ginevra non ha rinnovato i suoi accordi di cooperazione con gli istituti di ricerca russi e bielorussi, causando non pochi malumori fra gli scienziati fedeli al principio che la scienza non deve conoscere confini.
La petizione dalle mille firme nei prossimi giorni verrà inviata al Council per una discussione anche sul ruolo della scienza nella guerra. La ricerca condotta a Ginevra riguarda la fisica nucleare, ma non ha alcun legame con la bomba atomica. Più imprevedibili sono invece le applicazioni di nuovi software di intelligenza artificiale nati per la scienza ma utili potenzialmente in ambiti diversi.
Sulla barriera che separa scienza e guerra oggi non ci si interroga solo a Ginevra. Il centro di ricerca Desy, ad Amburgo, alla fine del 2024 ha iniziato a chiedersi se non sia il caso di abolire le “civil clauses”: quelle norme dello statuto che impediscono di fare ricerca se non per scopi civili. Discussioni simili sono in corso anche alla Technical University of Berlin e alla Technical University di Darmstadt, effetto di uno spirito della guerra che oggi sembra diventato contagioso.
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