Sinner alza il livello: c’è la semifinale degli Us Open e il pensiero Alcaraz
New York – «Ora però devo alzare il livello». Jannik Sinner. Se non fosse così, non sarebbe così. Pochi minuti dopo aver costretto l’amico Musetti ad allargare sconsolato le braccia («Nella mia vita non ho mai giocato con qualcuno che mi abbia messo tanta pressione negli scambi: ero in sua balìa. Impressionante», dice Lorenzo), il numero uno del mondo aveva già la testa alla semifinale col canadese Auger-Aliassime, in programma stanotte all’una italiana.
Felix è un bravo ragazzo, a ogni punto che realizza dà 5 dollari in beneficenza per i bimbi africani, è un grande amico di Matteo Berrettini e suona benissimo il pianoforte: sì, però come tennista? Buon talento, numero 27 Atp (ma è stato n. 6 nel 2022), bel servizio e dritto d’autore. Ma è su un’altra galassia, rispetto al ragazzo dai capelli rossi: la stessa galassia cui appartengono tutti gli altri. Tutti, tranne — appunto — Jannik. E Carlitos. Magari anche (ancora?) Djokovic: lo scopriremo stasera alle 21, quando lui e lo spagnolo scenderanno in campo per l’altra semifinale.
Solo 3 settimane fa, a Cincinnati, Sinner si è sgranocchiato come un grissino il povero Felix, alto e sottile: uno spuntino di un’ora e 11 minuti, in cui gli ha concesso 2 miseri giochi. Lasciandolo frastornato, come succede a tutti quelli — “Muso” compreso — che passano per la sua strada. E dunque, ci sono buone ragioni per credere che sarà una formalità, in attesa dell’ultimo atto: domenica. No, non per Jannik. «Ogni torneo è diverso», sostiene. «Lui ha vinto delle belle partite, ha preso fiducia. Tutto può accadere». Sarà. Ieri si è allenato al chiuso, lontano da occhi indiscreti. Negli ultimi 10 giorni ha lavorato duramente: «Grandi progressi: anche in pochi giorni, si possono aggiustare molte cose. Sento di essere sulla strada giusta». Però non basta, insiste. La verità è che nei suoi pensieri c’è solo Alcaraz: anche il murciano sta giocando in maniera aliena, il successo a Cincy non gli basta, come una belva ferita cerca la rivincita di Wimbledon. Ecco perché l’azzurro «deve» alzare il livello. Ora.
Intorno a lui, l’ambiente sembra quello giusto: concentrati, sereni. L’altro pomeriggio, negli spogliatoi prima del match, all’improvviso Jannik è saltato addosso ad Andrea Cipolla, l’osteopata. Letteralmente. Spalleggiato da Darren Cahill lo ha gettato a terra, nella mischia s’è intrufolato anche Simone Vagnozzi. Gli ha tolto le scarpe, le ha gettate in un’altra stanza. Risate. Su cosa può concentrarsi, in attesa della probabile resa dei conti con Carlitos? Il servizio. Nel derby italiano ha raggiunto il 61% nelle prime palle, col 91% di successo. «Non mi interessano i numeri, cerco consistenza nei momenti importanti». La battuta vincente che conta non è sul 40-0, ma quando c’è una palla break da salvare. E l’altra sera, il campione altoatesino ha annullato tutte le 7 occasioni concesse all’amico Lorenzo. Servizio, risposta. L’orario della partita di stanotte ha sorpreso un po’ tutti: Jannik di nuovo nella prima serata americana, si pensava che le tv avrebbero puntato sulla sfida Alcaraz-Djokovic. Che promette di essere una partita storica, forse l’ultima occasione per il vecchio Nole di provare a portarsi a casa lo Slam numero 25 di un’infinita carriera. Ieri Carlitos ha riposato: si è dedicato al golf, vuole vincere e celebrare con l’ormai iconico swing in onore dell’amico Rory McIlroy. Novak? Giurava di voler restare in albergo per recuperare le forze («Il mio fisico non mi permette altri sforzi»), invece si è allenato. L’Arthur Ashe Stadium promette di essere la solita bolgia all’americana. Jannik sorride: «Ho imparato a non farci caso. Non è Wimbledon, ma gli Us Open sono speciali. Per me, soprattutto».
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