Andò: “Ferdinando Scianna, un maestro. È cambiato l’orizzonte: non sono tempi per la commedia”

VENEZIA – Ferdinando Scianna è stato il primo fotografo italiano a entrare nell’agenzia Magnum. Siciliano di Bagheria, classe 1943 è oggi un signore pieno di ironia e autoironia, sguardo lucido sulle cose del mondo e una capacità di narratore che va oltre le sue straordinarie immagini. Alla Mostra del cinema di Venezia accompagna il bel documentario di Roberto Andò, Ferdinando Scianna, il fotografo dell’ombra fuori concorso.

Il film attraverso una lunga chiacchierata col fotografo indaga il percorso che ha portato un ragazzo figlio di coltivatori di limoni a girare il mondo con la sua macchina fotografica, a firmare copertine su copertine dell’Europeo, a ideare una campagna pubblicitaria rivoluzionaria per gli emergenti Dolce e Gabbana e diventare amico di autori come Leonardo Sciascia e Manuel Vasquez Montalban e fotografi come Henri Cartier Bresson e Gianni Berengo Gardin.

“FERDINANDO SCIANNA il fotografo dell’ombra” di Roberto Andò

Un’amicizia cinquantennale che è diventata un ritratto cinematografico, chi è per Roberto Andò Ferdinando Scianna?

“È stata una figura di riferimento per me fin da quando avevo 14 anni. Avevo in casa il libro Feste religiose in Sicilia, che è quello con cui lui ha esordito, con un testo di Leonardo Sciascia. Mi affascinava moltissimo perché avendo già l’idea di fare il regista era per me un primo modo di dare forma al caos che mi circondava. Da lì nasce poi Sciascia ci ha fatto incontrare ed è nata un’amicizia. Ho voluto condividere con il pubblico il piacere delle chiacchierate fatte in questi anni, conversazioni fiume che potevano diventare di tutti. È stato un modo anche per parlare di me e del mio mestiere, è anni che voglio fare un film su Leonardo Sciascia e forse non lo farò mai. Questo è stato anche un modo per fare i conti per me con questa perdita per lui”.

Nel film si torna tante volte su questa distanza tra il cinema e la fotografia c’è l’aneddoto di Henri Cartier Bresson che ferma la lavorazione del suo film.

“Sì certo, fermò le riprese del film Le retour perché sapeva che in quel momento particolare stava per passare una foto che poi diventerà una delle più importanti della storia del Novecento: la storia di questa collaborazionista. Ed è impressionante perché il film avrebbe avuto questa immagine, ma lui sentiva che doveva essere una foto. In comune cinema e fotografia hanno l’esigenza del racconto. Quello che cambia è che il cineasta può convocare il mondo; il fotografo, come l’ha fatto Ferdinando, ha bisogno del mondo. Io come regista posso anche ricostruire, invece al fotografo serve lo scorrere della realtà da cui sceglierà un istante. È molto interessante il senso del tempo, l’opera di Ferdinando sembra un unico racconto, sia che parli della Bolivia, dell’India, della Sicilia. È come se fosse un film, si vede lo sguardo di un uomo che vede il mondo con questa empatia, con questa capacità di essere vicino agli umili, di essere vicino alle persone nel loro lato umano più profondo. Io sento in questo momento della mia vita il bisogno di trattenere delle cose che ho amato”.

Nel film si vedono i suoi reportage per l’Europeo, le immagini dell’Africa, il racconto dei suoi tormenti di fotografo di fronte alla fame dei bambini, un servizio sulla Palestina che avrà 40 anni. Che effetto fa rivedere quei servizi in questo momento storico in cui siamo tutti qui ad assistere impotenti rispetto a quello che sta succedendo a Gaza?

“È terribile, un effetto terribile. Ferdinando, a chi gli chiede dove vorrebbe essere oggi se facesse ancora il fotografo, dice in Palestina, ma allo stesso tempo gli piacerebbe anche essere non solo nei luoghi dell’orrore, ma anche nei luoghi dove la vita comincia, come nella scuola elementare dove siamo stati insieme, che si vede nel film. Mi sforzo di credere che il film sia un atto di fiducia, noi dobbiamo pensare che il peggio passerà, non pensare che è arrivato il tempo del peggio. Perché certamente rispetto a quello che noi abbiamo creduto, pensato, ai nostri desideri, il mondo sta andando nella direzione opposta per una serie di congiunture, per una serie di frangenti storici. È l’epoca del risentimento che coincide anche con un’epoca ottusa di governanti senza scrupoli, senza spessore umano. E questa mediocrità ha cambiato completamente il panorama in cui noi credevamo di essere in qualche modo protetti, cioè che si potesse migliorare e si potesse andare avanti. E invece no, si sta andando indietro. Raccontare un mestiere come quello del fotografo, in cui c’è anche la generosità di qualcuno che va nel mondo e affronta dei rischi in solitaria, oltre a essere un’occasione per riflettere sul senso delle immagini, è anche un’occasione per riflettere su questo dato umano cui ci vogliamo attaccare, cui dobbiamo attaccarci”.

“L’abbaglio”, lo sbarco dei Mille secondo Roberto Andò – trailer

Negli ultimi due suoi film La stranezza e L’abbaglio ha voluto raccontare delle pagine legate alla storia del Paese e della Sicilia rivedendola con uno sguardo diverso, lo sguardo della commedia che ha fatto sì che questi film hanno avuto una grandissima risposta di pubblico. Che soddisfazione è stata?

“È stata una grande gioia e ha coinciso proprio con il desiderio di ritrovare questa patria che abbiamo tutti frequentato da bambini: la patria del comico. E poi soprattutto riconoscere che la vita si gioca sempre in una zona in cui tragedia e comicità coincidono, non è che l’una esclude l’altra. Sono state due cose molto felici sia per la collaborazione con gli attori, che sono il mio attore prediletto Toni Servillo e questa coppia di comici straordinaria, Ficarra e Picone. È stato un modo per rivedere la Sicilia come luogo cruciale dove i paradossi della storia si incarnano. Oggi non lo so, proprio per quello che dicevamo prima, è proprio cambiato l’orizzonte. Ci troviamo di fronte a questa tragedia e questa impotenza che forse questo tono veramente non so se si possa più avere”.

Palermo, anteprima de “La stranezza” di Andò in sala con Ficarra e Picone

Le reazioni degli spettatori che l’hanno più stupita?

“Mi ha colpito moltissimo la reazione dei ragazzi. Mi ha stupito che venissero dei ragazzi e mi dicessero abbiamo studiato a scuola Pirandello ma a scuola non l’abbiamo capito per niente, lo abbiamo rifiutato e invece adesso ci sembra di avere capito. Per un cineasta è una cosa bellissima. E poi il fatto che allo stesso tempo un pubblico più adulto, più maturo si riconoscesse ne La stranezza come se fosse protagonista, il fatto che il film mettesse in scena gli spettatori, che desse loro voce. È come se ci volesse un dispositivo di questo tipo in cui il pubblico si sentisse interpellato, chiamato a dire la sua. Mi ha sorpreso anche il successo perché sapevo che Ficarra e Picone sono una garanzia, però non ci aspettavamo che fosse un tale successo un film su Pirandello. Mi ha fatto molto piacere”.

Il quartetto con Servillo, Ficarra e Picone lo rivedremo?

“Non credo. Adesso sto scrivendo una storia che mi porta altrove, una storia che girerò il prossimo anno, una storia femminile. Poi vedremo”.

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