Giorgio Armani, la classe anche in campo tra la passione per il basket e le sfilate olimpiche
Quando Dan Peterson, a quel tempo coach dell’Olimpia Milano di cui Giorgio Armani era tutto, non solo ovviamente lo stilista e il patròn (dal 2008, 6 scudetti a parte il resto), si fece incontro per stringere la mano al re, costui si accorse che il polsino della camicia sbordava troppo (un millimetro? Due? Tre?) dalla manica della giacca, e il giorno dopo le divise tornarono in sartoria. Perché è il dettaglio che fa lo stile. In quella minuzia ci sta comodo l’intero universo.
Giorgio Armani e lo sport sono prima di tutto il blu notte di una saga (una collezione?) memorabile che dura dal 2012, da quando cioé il nostro Leonardo con gessetto, metro e forbici, senza dimenticare gli spilli per gli orli, cominciò a creare le divise olimpiche dell’Italia.
Il tono blu scuro delle tute, in particolare, è un punto di colore che non si dimentica e che da quella meravigliosa sera londinese, quando chi c’era ebbe il privilegio di assistere alla cerimonia d’apertura con Paul McCartney che cantava (un po’ stonando) Hey Jude, resta il tocco più elegante dello sport planetario. Nessun atleta è mai stato più bello e glamour dei nostri: quando salgono sul podio, è come una sfilata. Perché Armani ha cucito lo stile addosso alla bellezza della meglio gioventù.
È naturale che adesso, nell’ora dell’addio, i campioni e i club di mezzo mondo salutino il sovrano con un affetto che non è di maniera, nulla è prodotto in serie in questa passerella d’affetto. «Ciao Re Giorgio, è stato un privilegio incontrarti, ci hai donato la tua arte» scrive Roberto Baggio sui social, si sa che tra fuoriclasse l’intesa è quasi sempre automatica: a proposito di Baggio, il re aveva disegnato anche le divise dell’Italia ai mondiali di Usa ’94.
Gigi Datome ricorda come Armani amasse giocare con i figli dei giocatori, perché nei momenti del dolore è bello fare famiglia e scucire i ricordi più intimi e personali. «Medaglia d’oro dell’eleganza» lo definisce Luciano Buonfiglio, il presidente del Coni, e il suo predecessore Giovanni Malagò spiega che un’eventuale nomina a senatore a vita (se non Armani, chi?) avrebbe messo a disagio l’artista sublime.
Artista, perché è questa la parola. Erano arte anche le divise della nazionale inglese di calcio ai mondiali 2006, oltre quelle degli azzurri e delle azzurre di oggi. Arte, la collezione olimpica italiana che durerà fino a Milano/Cortina 2026, e da quest’anno anche la Juventus si fa vestire da Armani, e poi il Chelsea, il Piacenza, insomma chiunque voglia essere più elegante di tutti. Era Armani pure il famoso cappotto di Mourinho. «Ci siamo incontrati alle sfilate e aveva attenzioni per ognuno. È stato un onore conoscere e lavorare con un persona così, era incredibile», ricorda Charles Leclerc, uno dei moltissimi campioni che il re ha fasciato di stile.
Hanno posato per lui Carl Lewis e David Beckham, ci sono corpi che sembrano nati per testimoniare, non solo per vincere. La forma che diventa sostanza, la bellezza di un’emozione: come quando, ai Giochi invernali di Torino 2006, re Giorgio e Shevchenko si passarono la torcia del sacro fuoco di Olimpia, lo stesso nome (un destino, e al destino non ci si sottrae) della squadra di basket milanese che Armani rese di nuovo grande. «Amo il basket perché è rapido, organizzato e divertente, come il mio lavoro», disse il re in una vecchia intervista. Ma quant’è inadeguato questo aggettivo, “vecchio”, per un uomo che sapeva fare solo cose nuove, fresche e mai viste prima, un po’ come la gioventù. «Un abito dice chi sei, e nessuno sapeva dirlo meglio di lui», spiega Claudio Marchisio, che di moda ne sa. Una sfilata di lacrime e pensieri, ne fanno parte anche Bobo Vieri e Gimbo Tamberi: «Grazie per il tuo esempio». E poi Gallinari: «Un simbolo e un maestro di vita». E poi Pozzecco: «Ci ha fatto sentire orgogliosi di essere italiani, ora possiamo solo vincere per onorarlo». «Era eleganza ben oltre gli abiti» scrive Kakà in un post, e anche lui sa cosa sia quell’eleganza naturale e mai affettata che o c’è o non c’è, e non si può riprodurre o progettare: semplicemente, la si vive di giorno e di notte. Blu.
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