Com’è giusto, l’ultimo slam del 2025 va alla numero uno
Dicono che nel circuito femminile nessuna picchi quanto loro. Eppure la finale tra Aryna Sabalenka e Amanda Anisimova è anche una sfida di nervi e sapienze tattiche: perché perfino la bielorussa, un tempo leader indiscussa delle tenniste bum-bum, ha imparato a dosare le forze, ad attendere il momento migliore per piazzare un vincente, a non adontarsi se l’avversaria rallenta uno scambio.
La numero 1 Wta approda all’ultimo match degli Us Open 2025 da campionessa in carica. In più, è la prima, dopo Serena Williams, a confermarsi finalista qui per tre anni consecutivi. Classe 1998, a inizio carriera ha dovuto superare una serie di delusioni e difficoltà per poi diventare, da un paio anni in qua, la più forte sul cemento: a livello slam, ha collezionato le tre ultime finali a Melbourne, vincendo quelle del 2023 e 2024 e cedendo la più recente a Madison Keys, e ha alzato la coppa a New York nel 2024, dove era stata finalista sconfitta da Coco Gauff nel 2023. In questa stagione, però, ha perso la sua grande occasione sulla terra rossa del Roland Garros, di nuovo contro Coco, e ha lasciato il torneo di Wimbledon in anticipo, in semifinale, confermando che con l’erba continua ad avere scarsa dimestichezza. Gli zero titoli major in stagione forse significano – pensava qualcuno – che sta pagando le conseguenze di guidare il ranking mondiale da 46 settimane consecutive (54 in tutto, considerando le 8 da capofila del 2023): le si chiede di essere la migliore, e lei fatica a gestire tanta pressione. Oggi dimostrerà che non è così.
Anisimova, 24 anni, è il volto nuovo che tanto nuovo non è, avendo raggiunto, giovanissima, la semifinale al Roland Garros nel 2019. Americana di genitori russi, dopo i primi clamorosi risultati da neoprofessionista aveva avuto due lunghi stop a seguito della morte improvvisa del padre, che era il suo mentore e coach. Nata nel New Jersey, si sente a casa nell’Usta Billie Jean King National Tennis Center del Queens, che ospita gli Us Open e oggi la sostiene come una sola donna (per parità di genere). Il percorso di Amanda a Flushing Meadows è stato in quattro atti: le incertezze dei primi turni, il lampo contro Beatriz Haddad Maia, la rivincita contro Swiatek, la felice notte infinita con Osaka. Con dodici set vinti e due persi in quasi nove ore e mezzo in campo, ha dimostrato di aver metabolizzato il doppio 6-0 della finale dei Championships.
Seppure non indimenticabile, la partita non tradisce le attese. Sabalenka tenta subito la fuga, Anisimova è brava a rispondere con il controbreak. Entrambe, in questa fase, soffrono nei turni di servizio – che perdono e controperdono – ma Amanda è meno rapida a trovare le soluzioni necessarie. Una nuova accelerazione consente ad Aryna di chiudere sul 6-3.
Con nove confronti diretti in archivio, le due si conoscono bene. La bilancia pende dalla parte dell’americana con sei vittorie contro tre: l’ultima risale alla semifinale londinese in luglio. Amanda dà però la sensazione d’essere oggi intimidita dal contesto dell’Arthur Ashe e disturbata dal tetto chiuso. Nel secondo parziale, dopo un servizio ceduto da entrambe, è la bielorussa a strappare un altro break che difende fino a servire sul 5-4 per il match. E qui Animisova, con la complicità dell’avversaria troppo fallosa, fa il miracolo di rimettersi in corsa. Si va al tie break, dominato da Sabalenka, mai tremebonda: 7-3 e vittoria che cancella la regola non scritta in forza della quale da dodici anni il titolo andava, tra le finaliste, a chi non l’aveva mai vinto. Come Jasmine Paolini l’anno scorso a Parigi e Londra, Anisimova non coglie le sue prime due occasioni di prendersi uno slam. Ma ne avrà di sicuro altre. Presto.
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