C’erano una volta in America i repubblicani

Ascolto Nat King Cole e mi ricordo di notti al Copacabana, un celebre locale di jazz sulla 61ma strada di Manhattan. Lì una mattina degli anni Ottanta mi invitò il reverendo Jerry Falwell, allora uno degli esponenti estremi e potenti del fondamentalismo cristiano e del Partito Repubblicano americano. All’epoca stavo scrivendo Il Dio d’America, dedicato al fortissimo cambiamento in corso fra religione e politica negli Usa. E per questo avevo cercato un incontro con il principale leader del movimento neocristiano. Non potevo non cogliere il simbolo: mi invitava di mattina, in un nightclub già roccaforte di un tempo finito, per farmi constatare la caduta della cittadella. Nei miei vent’anni di vita americana, abituato al fatto che la religione fosse presente ovunque e che ovunque presidiasse uno spazio, non avevo mai incontrato personaggi come Falwell, che si esprimeva come un manager e disponeva come un politico.

«La situazione oggi a Washington? – annota Arthur Schlesinger nei suoi appunti del 2003 – Il ministro della Giustizia John Ashcroft, un politico di alto livello e un religioso fanatico, è il comunicatore di una setta evangelica che non permette il bere, il ballo, il cinema e guardare le statue nude». Cominciano qui a intrecciarsi due corde, quella religiosa e quella politica. L’una nutrita dalla furiosa ventata di fanatismo che interviene in importanti momenti della vita pubblica. L’altra impone, anche con la violenza, l’osservanza dei precetti religiosi. Viene sancita – il 21 settembre del 2002 – la nuova dottrina politica della Casa Bianca, l’unilateralismo che significa: «Noi facciamo da soli, senza badare a trattati o legami di qualsiasi alleanza. Perché nel mondo soltanto noi e soltanto da soli possiamo risolvere i problemi. E lo faremo assumendoci il diritto della guerra preventiva».

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Tutto questo ha rivelato in modo inatteso e brutale che il Partito Repubblicano, detto nella tradizione politica di quel Paese GOP (Grand Old Party), era profondamente cambiato dopo essere stato attraversato dal furioso passaggio del vento di religione e sottomissione al fondamentalismo più rigido. Tipico di quel modo di credere, mi aveva spiegato il reverendo Falwell quel giorno al Copacabana, era l’intransigenza che non prevedeva cedimenti, ma anche il nuovo orientamento che, con George W. Bush, il partito si era dato. Il percorso non era dalla religione alla politica, ma l’opposto: dalla politica alla religione, ovvero all’accettazione politica del precetto. I punti di riferimento della nuova politica di Dio puntano verso la guerra ma passano attraverso il sociale, sia spazzando via la maggior parte di leggi e regole che, dai tempi di Lyndon Johnson favorivano i neri, dalla osservanza della Equal opportunity al privilegio di vincere una borsa di studio, in caso di parità con uno studente bianco. Eppure il GOP aveva avuto una grande tradizione di attenzione verso i problemi sociali. Fiorello La Guardia, uno dei più amati sindaci di New York, era repubblicano. Ancora oggi il più indimenticabile ricordo di quel vecchio partito è rappresentato a New York dal Javits Center, grande punto di sostegno per le più importanti imprese umanitarie di tutta l’area metropolitana, fondato e sostenuto dal grande senatore repubblicano Jacob Javits, tuttora una leggenda per il suo peso politico, orientato decisamente in senso “liberal”. Ma personaggi come Javits non erano un contributo occasionale e locale alla vita pubblica americana. Per ragioni storiche, che non sono un merito ma sono certo un fatto rilevante, la maggior parte dei leader repubblicani del Sud degli Stati Uniti non hanno mai sostenuto le leggi di discriminazione e di esclusione razziale che hanno portato al celebre episodio di Rosa Parks e alla rivolta del movimento nero di Martin Luther King. Tutto questo è continuato da Roosevelt a Kennedy, da Carter a Johnson, fino a quando, con George W. Bush, è diventato presidente repubblicano degli Stati Uniti un rigoroso credente di quel cristianesimo fondamentalista che ancora oggi sta scuotendo l’America. Non è la fede a cambiare la vita e la politica di Bush, diranno più e più volte commentatori politici democratici come Ted Sorensen e Arthur Schlesinger, ma il bisogno di avere le mani libere per ridefinire il rapporto fra religione e politica. È importante perché, dalla Costituzione in avanti, gli Stati Uniti avevano consacrato il principio del distacco totale della politica dalla religione. È proprio su questo punto – la perdita di egemonia della religione sulla politica – inimmaginabile fra gli Stati del tempo, che Alexis de Tocqueville aveva celebrato l’unicità dell’America. Quella unicità era finita quando un presidente repubblicano del tutto sottomesso al neocristianesimo si era fatto consacrare dal nuovo partner religioso, i due punti fondamentali di una nuova politica. Primo: «tutto ciò che fa e decide un presidente è legale». Secondo: «per essere utile, e portare alla vittoria, una guerra deve essere preventiva».

Nei giorni della sua prima guerra del Golfo, George W. Bush ha fatto presentare al Consiglio di Sicurezza dell’Onu le “prove” dell’esistenza in Iraq di armi di distruzione di massa pronte a entrare in funzione in 45 minuti. Dunque quella prima guerra preventiva di un presidente repubblicano è cominciata a causa di un tremendo equivoco. Agli uomini di Bush è sfuggita completamente la natura del terrorismo. Il terrorismo è una fede che vuole distruggere la nostra. Ma i terroristi non sono un esercito e non possiamo affrontarli come tali, sono un nemico prima di tutto culturale e mentale. Richiede uno straordinario lavoro di “intelligence”. La presidenza repubblicana – e dal quel momento tutto il partito – si è ostinata a non riconoscere la natura non statuale e non militare del terrorismo. Il problema dell’Iraq rimane e rimarrà sospeso nel mistero, perché un paese laico, con un governo spaventoso ma separato dal fanatismo neoislamico, non poteva essere in nessun modo luogo di un terrorismo di matrice religiosa. Eppure viene eletto nemico da distruggere o, alternativamente, da liberare per riportare la democrazia, in una confusione di progetti che ha sconvolto la cultura americana e disorientato il mondo.

La questione Afghanistan fino a un certo punto si spiega perché ospitava personaggi affini a ciò che era avvenuto a New York l’11 settembre 2001. Ma da quella guerra che Bush aveva lanciato come pura vendetta, senza un obiettivo, senza una strategia, è nata Guantanamo, la spaventosa prigione che ha macchiato in modo grave l’immagine e il prestigio americano. Intanto il Paese continuava a essere travolto dalla rivoluzione religioso-repubblicana. È iniziata, per una iniziativa del governo che la storia americana non conosceva, una radicale revisione delle biblioteche scolastiche e accademiche in modo da eliminare tutto ciò che veniva giudicato anticristiano. II problema più grande per le università americane è stata l’imposizione del creazionismo. Università e scuole legate ai fondi dello Stato sono state obbligate ad adottare il creazionismo come teoria. Colava sui cittadini una marea di informazioni che contenevano verità mai immaginate e superstizioni che si credevano scomparse.

Lo sgretolamento democratico e il passaggio a una estrema destra priva di scrupoli, fino all’avvento di Donald Trump, è avvenuto nel Partito Repubblicano, a partire dalla presidenza di Bush, deciso a negare lo spazio a ogni questione sociale. Al momento gli Stati Uniti non hanno più un Partito Repubblicano. Hanno un Congresso confuso dove le posizioni sbandano (come nell’indimenticabile film di Fellini Prova d’orchestra) sotto una direzione fortemente indebolita dagli anni di colui che potrebbe essere l’unico salvatore: il presidente democratico.

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