Più competitività e salari, la ricetta per frenare la fuga dei cervelli italiani

L’Europa deve riguadagnare il primato che ha avuto fino al secolo scorso. Dobbiamo riconquistare la capacità di competere in conoscenza, ma per farlo dobbiamo smettere di sentirci italiani, tedeschi o francesi ed essere europei». Il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, invoca la ricetta di Mario Draghi per il Vecchio continente e – dalla tappa milanese del tour “L’Alfabeto del Futuro” di Repubblica e Affari&Finanza, dedicata ai temi della formazione e ricerca e dell’attrazione dei giovani talenti – non ha dubbi sul grande male che affligge l’economia tricolore. «I nostri posti di lavoro non producono sufficiente valore. E la mancata produttività è all’origine di molti dei nostri problemi – scandisce – Per questo dobbiamo abbracciare e cavalcare la rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo, perché l’IA può darci quella spinta che in passato ci ha offerto la meccanizzazione».

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Uno scatto necessario, chiesto a gran voce dalle rettrici Giovanna Iannantuoni (Milano-Bicocca) e Marina Brambilla (Statale), che invocano «un’alleanza di atenei, imprese e istituzioni» per frenare il drenaggio di cervelli verso l’estero, dove si trovano le opportunità che qui mancano. «I nostri ricercatori non hanno nulla da invidiare agli altri, anzi». E forse proprio per questo sono centomila i laureati che l’estero ci ha “rubato”, nell’ultimo decennio, anche perché – sottolinea Iannantuoni – «in Italia ai neolaureati le imprese prospettano stipendi del 30% inferiori agli altri Paesi europei». Gli atenei possono fare qualcosa, anche in termini di aiuti nel sostenere i costi della formazione, ma non tutto. Serve quell’alleanza che Marino Zerial, direttore dello Human Technopole, sta vedendo realizzarsi nell’area che ospitò l’Expo milanese e ora è un «progetto speciale in cui si uniscono piattaforme nazionali, infrastrutture di ricerca che i singoli istituti non potrebbero permettersi, privati che offrono opportunità di sbocco immediato per i nostri giovani». Giovani che, se privati di prospettive, prendono la via dell’estero. O dello scoramento, come i Neet raccontati dal demografo Alessandro Rosina e dal chief social impact officer di Intesa Sanpaolo, Paolo Bonassi. Oltre il 15% di ragazzi tra 15 e 29 anni in Italia non studia né lavora, percentuale seconda alla sola Romania. «Ma per un Paese in “degiovanimento” – dicono Bonassi e Rosina – sono un potenziale enorme da recuperare: per loro stessi, ma anche per le nostre imprese».

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