“Il rifugio atomico”, tornano i creatori de “La casa di carta”: “Ora l’apocalisse è per i ricchi”

Mentre fuori c’è l’apocalisse, a un passo dalla terza guerra mondiale un gruppo di selezionatissimi milionari entrano in un bunker di lusso, un rifugio atomico dove centinaia di metri sotto la superficie terrestre si rifugiano i ricchi di Spagna. Tra loro c’è Max, figlio viziato di una famiglia di imprenditori, appena uscito di prigione dopo aver scontato tre anni per omicidio colposo. In un incidente automobilistico, sotto effetto di alcol e droghe, è morta la sua fidanzata. Nel bunker ci sarà anche la famiglia di lei.

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Álex Pina e Esther Martinez Lobato, i creatori de La casa di carta e di Berlino, firmano una nuova serie tv, da oggi su Netflix. Il rifugio atomico è il Kimera Underground Park, sfondo claustrofobico per le vicende di due famiglie segnate da rancori e lutti. Isolate nel sottosuolo e senza alcuna possibilità di fuga, liberano le proprie personalità rivelando i segreti più inconfessabili, e facendo emergere anche le alleanze più inaspettate. Incontriamo online i due showrunner spagnoli reduci dal successo della saga dei rapinatori della Zecca di Madrid.

“Il rifugio atomico”, il trailer della nuova serie dei creatori de “La casa di carta”

Qual è stato lo spunto di partenza all’origine della serie?

Álex Pina: “Durante la pandemia abbiamo letto sui giornali spagnoli la notizia che si stavano costruendo dei bunker pensati per una clientela di multimilionari con tanto di cinema e piscina interni da utilizzare in caso di attacco nucleare. Ci è sembrato uno scenario perfetto per raccontare una storia di conflitti con molto umorismo nero e ironia con l’apocalisse come detonatore”.

Esther Martinez Lobato: “Ci sembrava che fosse perfetto per la nostra narrativa che è sempre un po’ claustrofobica”.

In un mondo in cui la minaccia nucleare è ogni giorno più concreta che effetto fa a due autori di finzione come voi immaginare un mondo che più tempo passa e meno sembra frutto di fantasia?

Esther Martinez Lobato: “Mentre scrivevamo la storia avevamo paura, ci siamo detti chissà se per il momento in cui la serie uscirà questa storia sarà storica o futurista”.

Álex Pina: “Va detto che da quando abbiamo cominciato a scrivere la serie la situazione è peggiorata. Siamo sempre più vicini a quel possibile finale. Quello che a noi interessava di più però era la pressione di una situazione del genere sui personaggi che li portasse a essere più estremi, più eccentrici. La fine del mondo come detonatore dei conflitti personali tra i personaggi. Abbiamo usato i ricchi come cavie di questo esperimento sociale in uno spazio ristretto”.

I protagonisti sono queste due famiglie di ricconi, rivali perché separate da una tragedia. Come li avete individuati?

Álex Pina: “Mano mano che avanzavamo nella scrittura della storia volevamo che i protagonisti fossero amorali, vere e proprie canaglie, per avere molta artiglieria, molti scontri. Nel primo capitolo c’è una sentenza e questo fatto crea una rivalità assoluta che nel bunker diventa ancora più esplosiva”.

Anche se si tratta di due progetti molto diversi Il rifugio atomico condivide con La casa di carta, oltre alla dimensione claustrofobica, anche il tema della disuguaglianza sociale. Perché è un tema che vi sta così a cuore?

Álex Pina: “Queste due serie sono frutto di momenti storici diversi. Quando abbiamo scritto La casa di carta era in corso la primavera araba, era un momento di unità sociale anche in Europa. Oggi invece è un momento molto più polarizzato con l’avvento del trumpismo c’è una differenza tra ricchi e poveri più caricaturale. Abbiamo lavorato nella direzione di una storia in cui i ricchi avevano una morale molto diversa dall’ambiguità dei personaggi della Casa di carta”.

Esther Martinez Lobato: “Ci interessava mettere in scena dei personaggi di successo che con i soldi possono mettersi in salvo in un bunker di lusso. Volevamo farli vedere lì dentro dove non c’è più nulla di quello che avevano fuori e finiscono per confrontarsi con gli altri e con se stessi”.

Questa serie è più escapista o più politica rispetto alla Casa di carta?

Álex Pina: “La serie è consapevole di quello che sta succedendo nel mondo oggi, i milionari di tutto il mondo si stanno costruendo dei bunker atomici da Zuckerberg agli oligarchi dell’Est ma anche in America latina. Questo è il segnale che siamo tutti consapevoli di un pericolo imminente, la nostra storia ha tutti e due i lati c’è la consapevolezza politica ma anche la volontà di fuggire dal presente con una visione ludica”.

Esther Martinez Lobato: “E poi la nostra storia affronta il tema di cosa è la realtà e di come l’uomo è capace di riconfigurarla, gli esseri umani alla fine si possono abituare a tutto”.

Nella casa di carta c’erano le tute rosse, le maschere ma anche qui c’è un look ben definito: i milionari con le loro tute azzurre e i lavoratori con quelle arancioni. Come avete scelto questi colori?

Álex Pina: “Abbiamo passato mesi a disegnare il bunker, a costruire l’immagine della serie. Volevamo allontanarci dall’idea di un mondo apocalittico e cercavamo invece una sensazione di comfort, i colori azzurro e arancione sono colori confortevoli. Ci divertiva l’idea che mentre fuori il mondo sta finendo questi ricconi stanno in un posto di lusso e comfort e poi questi colori diventano i colori di due squadre e scatta la domanda: chi vincerà delle due?”

Avete già una seconda stagione scritta?

Álex Pina: “No, non ce l’abbiamo scritta. E ci abbiamo anche pensato poco finora. Non scriviamo mai niente prima di avere la certezza che poi la gireremo”.

Avete idea se espanderete quell’universo come avete fatto con La casa di carta e Berlino?

Álex Pina: “Ci sono personaggi molto potenti e questo ci permette di scrivere molte altre storie. La possibilità che una storia possa proseguire dopo una prima stagione dipende sempre dai personaggi e sono convinto che quelli del Rifugio atomico abbiano del grande potenziale”.

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Quando vedremo la seconda stagione di Berlino?

Álex Pina: “Non so quando la vedremo. La data non dipende da noi però abbiamo realizzato una stagione molto forte e molto divertente. Abbiamo finito di girare due settimane fa”.

Con queste ultime serie avete raggiunto un pubblico enorme, qual è il vostro prossimo obiettivo?

Álex Pina: “Continuare a fare questo tipo di progetti che anni fa erano impensabili. Con Il rifugio atomico abbiamo girato 160 sequenze in un set virtuale abbiamo fatto un grande sforzo produttivo e di scrittura, tutto quello che abbiamo immaginato siamo riusciti a girarlo. Mi ritengo molto soddisfatto”.

Esther Martinez Lobato: “Ogni storia è un’avventura diversa, quando siamo stanchi di un posto chiuso cerchiamo un ambiente più ampio o viceversa. Con il rifugio abbiamo spinto moltissimo sui personaggi portandoli all’estremo con molte bugie, molta ironia, e mettendone tanti in uno spazio limitato. Mentre aspettiamo la bomba che esplode fuori dal bunker c’è una bomba che sta scoppiando dentro”.

Avete fatto riferimento a qualche film apocalittico o qualche altra serie mentre scrivevate Il rifugio atomico?

Esther Martinez Lobato: “Più che a film apocalittici mentre scrivevamo abbiamo pensato molto alla serie Succession. Sono personaggi meschini ma anche impotenti e in qualche modo alla fine il pubblico si prende pena di loro e del loro destino”.

Avete lavorato con l’intelligenza artificiale per questa serie?

Álex Pina: “L’abbiamo utilizzata nella fase di preproduzione che è stata la più complessa e grande che abbiamo mai avuto, la scenografia, l’immagine della serie. Abbiamo avuto una troupe artistica di cinquanta persone e in quella fase abbiamo utilizzato gli strumenti dell’intelligenza artificiale per fare delle scelte, per esempio cromaticamente prima di arrivare all’azzurro e all’arancio abbiamo provato mille combinazioni di colori e messo gli attori davanti per capire cosa funzionava. È uno strumento complementare che può essere utile non tanto nella scrittura lì no ma per le questioni artistiche può funzionare”.

Esther Martinez Lobato: “Dobbiamo imparare a usarla meglio e farci delle domande in modo che sia un nostro alleato e che ci aiuti e non ci ostacoli nel definire la nostra identità”.

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