Giovani Leoni tra i 7 e i 20 anni: quattro attori per una nuova generazione di cinema italiano
Giovani Leoni crescono. Dalla Mostra del Cinema di Venezia è emersa una nuova generazione di talenti, quattro giovanissimi attori che hanno saputo imporsi con forza e freschezza sul grande schermo.
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Lucrezia Guglielmino, rivelazione accanto a Benedetta Porcaroli ne Il rapimento di Arabella, ha incantato per spontaneità e intensità. Giulio Feltri, figlio d’arte, ha debuttato con coraggio e sensibilità in La valle dei sorrisi di Paolo Strippoli. Giacomo Covi, protagonista di Un anno di scuola di Laura Samani, ha conquistato la sezione Orizzonti con un premio che lo ha portato subito in primo piano. Tiziano Menichelli, già visto in Denti da squalo e ora accanto a Pierfrancesco Favino in Il maestro, ha confermato un talento naturale riconosciuto anche dalla critica.
Lucrezia l’avventurosa
Al centro de Il rapimento di Arabella c’è il legame tra Benedetta Porcaroli e Lucrezia Guglielmino. Il film, scritto e diretto da Carolina Cavalli, è valso a Porcaroli il Premio Orizzonti come miglior attrice. Racconta la storia di Holly, una ragazza insoddisfatta e senza punti di riferimento, la cui vita cambia dopo l’incontro con Arabella, una bambina decisa a scappare di casa e specchio della sua giovinezza. Girato tra Veneto e Ravenna, uscirà in sala il 4 dicembre. A far da contraltare a Porcaroli c’è la giovanissima Lucrezia Guglielmino, vera rivelazione. All’epoca del set aveva 6 anni, ora ne ha compiuti 7. Ha folgorato la regista che ricorda il provino: “Si era tagliata la frangetta da sola per l’occasione, infatti era tutta storta. Lucrezia era molto timida, ma questa timidezza è durata cinque minuti. Appena l’ho vista ho pensato che somigliasse all’eroina di un’avventura in cui è finita per caso. Riuscivamo a parlare bene del personaggio, ci ascoltavamo, ero certa che sapesse che stava fingendo di essere una bambina diversa da lei. E anche questo, per me, era importante. Sapeva di tirare fuori un’irruenza sempre innocua e infantile, usava la scena come un posto vero. Era sinceramente avventurosa e curiosa di quei posti e di quello che stava capitando al suo personaggio”. Oggi, spiega Cavalli, Lucrezia dice che vuole fare l’attrice, ma prima non era davvero sicura”. La mamma di Lucrezia, Valentina, “non ha visto il film fino alla Mostra di Venezia, quella è stata la prima volta che ha visto “Luli”, Lucrezia, sullo schermo”.
Tiziano, autenticità e misura
Tiziano Menichelli è una delle rivelazioni più sorprendenti del nuovo cinema italiano. Romano, classe 2010, si è fatto notare con Denti da squalo (2023), esordio in cui interpretava Walter, un ragazzino smarrito dopo la morte del padre: una prova che ha convinto la critica per autenticità e misura. Nel 2024 è apparso anche nella serie Antonia, confermando la sua maturità espressiva, ma la consacrazione è arrivata all’ultima Mostra di Venezia con Il maestro di Andrea Di Stefano in cui è un tredicenne alle prese con il peso delle aspettative paterne e con l’incontro decisivo con Raul Gatti, maestro di tennis interpretato da Pierfrancesco Favino. La sua performance gli è valsa il Premio RB Casting 2025 per il “talento recitativo sorprendente, accompagnato da intelligenza e ironia, capace di rendere l’interpretazione convincente, toccante e divertente”. Già in Denti da squalo aveva raccontato quanto fosse complesso reggere il ruolo di protagonista: “Non sempre essere al centro è facile, comporta una responsabilità anche verso chi ti guarda”. In Il maestro questa consapevolezza è diventata piena: Menichelli incarna con naturalezza la fragilità adolescenziale e gli improvvisi scatti di ribellione, restituendo un personaggio vivo e credibile.
Il tenero Giacomo
Giacomo Covi è uno dei giovani protagonisti di Un anno di scuola, film di Laura Samani che ha conquistato la sezione Orizzonti alla Mostra di Venezia, dove l’attore triestino ha vinto il premio come miglior interprete. Nel film, tratto dal racconto di Gianni Stuparich ma trasposto al 2007, Covi interpreta Antero, uno dei tre amici d’infanzia che accolgono e insieme mettono alla prova Fred, ragazza svedese che arriva a Trieste e si iscrive come unica presenza femminile in una classe maschile. Una storia che racconta il desiderio di appartenenza e la difficoltà di restare fedeli a sé stessi, con un sottile conflitto generazionale che attraversa i rapporti tra i personaggi. Per Covi, un debutto assoluto, nato per caso: “Lavoravo in un bar, sono entrati i ragazzi dello scouting e dopo un paio di incontri mi hanno scelto”, ricorda. Sul set, un’esperienza trasformativa: “All’inizio avevo un rapporto di amore e odio con il mio personaggio, ma pian piano, imparando a volergli bene, ho imparato a volere bene anche a me stesso”. Il premio a Venezia lo ha sorpreso: “Non ho parole. Da uno a dieci è un dieci di gratitudine. L’unica cosa che mi è dispiaciuta è non aver detto abbastanza quanto voglio bene a tutti quelli che hanno fatto parte di questa avventura: è il vero messaggio del film, imparare a voler bene e dirlo”. Debuttante, Covi non esclude di continuare a recitare: “Prima non ci pensavo affatto, ma forse questo premio è un segno del destino”.
Giacomo Covi, dal bancone del bar al premio a Venezia. “Sul set ho imparato a volermi bene”
Giulio, emozioni senza pelle
Giulio Feltri, sedici anni, debutta al cinema come protagonista de La valle dei sorrisi, nuovo film di Paolo Strippoli presentato in anteprima alla Mostra e ora in sala con Vision Distribution. Interpreta Matteo Corbin, adolescente fragile e inquieto che porta sulle spalle le angosce di Remis, un villaggio alpino in cui tutti sorridono con inquietante uniformità. Accanto a lui Michele Riondino, in un horror visionario che esplora il lato oscuro nascosto dietro l’apparenza della felicità. Figlio dei giornalisti Mattia Feltri e Annalena Benini, nipote di Vittorio Feltri, Giulio è approdato al film quasi per caso, dopo due anni di lezioni di teatro: “Una sera a Roma c’era un’agente di casting a lezione, non me ne ero nemmeno accorto. Poi sono iniziati i provini e un giorno mi hanno detto che ero stato scelto” . L’emozione del debutto alla Mostra è stata enorme: “Non tanto recitare, quanto il pensiero che così tante persone mi avrebbero visto, anche in scene in cui ero scoperto. Gli applausi sono stati un sollievo”. Tra le difficoltà affrontate sul set, ricorda la scena più intima, girata quasi in solitudine: “Ho chiesto a Paolo di liberare il set, non volevo nemmeno i miei genitori nei paraggi. Alla fine ce l’ho fatta, e dopo ero contentissimo”. Matteo, il personaggio che interpreta, non gli somiglia, ma lo ha aiutato a guardarsi intorno: «Non ho trovato nulla di me in lui, ma nelle persone accanto a me sì: la solitudine, la difficoltà di essere conosciuti solo per quello che si deve fare». Al centro c’è il tema della fragilità, che Giulio sente molto vicino: «La fragilità è un’emozione umana, non maschile o femminile. Prima era nascosta, oggi dobbiamo imparare ad affrontarla». Cresciuto in una famiglia vicina alla cultura, deve a sua madre l’avvicinamento al teatro: «È stata lei a spingermi, dopo vari sport falliti. Mi ha iscritto a un corso ed è lì che tutto è cominciato». Il primo ricordo di cinema è tenero: un film di Peppa Pig visto con la madre, seguito da Edward mani di forbice, rimasto nella memoria. Genitori e nonno hanno accolto il debutto con orgoglio: “Mi hanno sempre sostenuto, anche a scuola. Mio nonno all’inizio non aveva detto nulla, poi mi ha mandato due vocali divertentissimi: mi ha raccontato di quando aveva lavorato al cinema e mi ha detto che era felice per me, chiedendomi di fare meglio di lui”.
Giulio Feltri tra horror e talento. “Che imbarazzo sul set in mutande…”
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