Manovra, la premier chiede soldi alle banche. “Ma non è punitivo”
ROMA – Alleati, non colpevoli da punire. Ma pur sempre pagatori. Ora è Giorgia Meloni a tirare le banche dentro il cantiere della manovra. “Non è che noi – dice la premier da New York – dobbiamo punire qualcuno”, al contrario “dobbiamo cercare alleati per le grandi priorità che vogliamo per questa nazione”. La strada è quella del contributo da concordare: “Non dobbiamo escludere nessuna ipotesi”, taglia corto sul merito della questione. La priorità è un’altra: il metodo. Per questo auspica e spinge l’avvio di “un confronto positivo con il sistema bancario come abbiamo fatto anche lo scorso anno”.
Il riferimento è alla trattativa che ha portato all’anticipo fiscale da 3,4 miliardi che gli istituti di credito concederanno quest’anno e il prossimo allo Stato rinunciando alle deduzioni sulle imposte differite attive (Dta). La misura è stata inserita nell’ultima legge di bilancio: tra le ipotesi allo studio c’è la possibilità di allungare il congelamento fino al 2027, oltre a una tassa da far pagare alle banche che acquistano azioni proprie sul mercato. Si vedrà.
Manovra, le banche frenano sul contributo: “Non abbiamo rendite di posizione”
Ancora prima delle coperture vengono le misure da finanziare. Ecco il vulnus dei lavori in corso: l’assenza di un’agenda. Le sollecitazioni che arrivano dalla maggioranza sono puntuali e frequenti, dalla rottamazione delle cartelle della Lega all’Ires premiale strutturale di Forza Italia, ma fatta eccezione per il taglio dell’Irpef per il ceto medio, la premier non si è mai sbilanciata sul perimetro della prossima legge di bilancio.
Ma ora il momento di tirare le somme non è più rinviabile. Lo sa e lo dice. “Banche sì? banche no? Io penso che dobbiamo lavorare in maniera un po’ diversa”. Il messaggio è rivolto agli alleati che da settimane animano dibattiti e liti sull’opportunità o meno di un nuovo contributo a carico delle banche.
La direzione è un’altra. Meloni la mette giù così: “Dobbiamo stabilire quali siano le priorità irrinunciabili, lo dobbiamo fare con tutta la maggioranza”. Vertice in vista a Palazzo Chigi nei prossimi giorni. Al tavolo con i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, insieme al leader di Noi Moderati, Maurizio Lupi, si proverà a trovare una quadra. Ma la consapevolezza che il perimetro dei pagatori sarà ampio è già acquisita: “Per le priorità – sottolinea la premier – servono delle coperture e quando servono le coperture si cercano”.
Giorgetti in pressing sulle banche: “Sì al contributo, è doveroso”. Passi avanti sulla rottamazione
D’altronde pur riducendo al massimo le ambizioni dei partiti di maggioranza, solo le due misure “regine” – la riduzione dell’Irpef e la rottamazione in versione minimale – costano rispettivamente 4 e 1,5-2 miliardi. Senza contare i 2 miliardi aggiuntivi per la sanità che il ministro Orazio Schillaci ha chiesto al collega Giancarlo Giorgetti. E nel conto del bilancio generale pesano soprattutto le spese per la difesa. Ma anche le bollette. “Lavoriamo sui prezzi dell’energia, che per me sono un’assoluta priorità», annota Meloni. Allo studio non ci sono solo interventi a costo zero, come la cancellazione del divario tra il prezzo italiano all’ingrosso del gas (Psv) e quello della Borsa di Amsterdam (Ttf), stimato oggi in 2 euro al megawattora. Palazzo Chigi vuole anche un segnale tangibile per le famiglie, sulla scia del potenziamento del bonus sociale di febbraio.
E poi servono soldi per congelare l’età pensionabile a 67 anni, annullando l’aumento di 3 mesi che scatterà dal 2027. La premier non si sbilancia: “Attualmente – dice – non è un’ipotesi della quale abbiamo parlato, ma probabilmente è anche una proposta che può arrivare dai partiti della maggioranza, ne parliamo quando arriverà”.
Intanto l’anteprima della manovra incassa il primo sì del Parlamento. Al Senato passa la risoluzione unitaria al Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp), la “mappa” dei conti pubblici che il governo trasmetterà alle Camere entro il 2 ottobre. Se il metodo mette d’accordo maggioranza e opposizione, il merito invece divide. Nell’emiciclo è Giorgetti a rivendicare lo spread a 80 punti come “un risultato per tutti, non un trofeo” del governo. Incalzato da un ordine del giorno unitario di Pd, M5S, Italia Viva e Avs sui salari, il titolare del Tesoro rivolge “un invito” alle imprese: “Le parti datoriali private facciano anch’esse la loro parte e riconoscano anche loro ai lavoratori aumenti stipendiali”. Stoccata alla Ue sull’automotive: “Qualche mea culpa l’Europa deve farsela, ha fatto un disastro che ha affossato l’industria”.
A margine dei lavori d’aula, Giorgetti parla anche di banche. Ha un’obiezione politica sulla possibile fusione tra Crédit Agricole Italia e Banco-Bpm?, chiedono i cronisti. “Non ho obiezioni politiche, ho una legge che devo far rispettare: come l’ho fatta rispettare agli altri la farò rispettare per loro”. La legge in questione è quella sul golden power.
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