Nel nome di Mattia Torre, ecco i nuovi comici: “La gentilezza è l’ultimo atto politico che resta”

VITERBO – A metà della serata – la prima edizione del Premi Mattia Torre, dedicati ai nuovi talenti under 35 – l’assessore di Viterbo Alfonso Antoniozzi, ex cantante lirico in spolverino e kefiah, sale sul palco del Teatro dell’Unione a Viterbo e dice a Geppi Cucciari “grazie per averci fatto entrare nel mondo di Mattia”.

Cucciari, Mastandrea, Aprea: “Nel mondo leggero e profondo di Mattia Torre”

Ha riassunto il sentimento di una serata piena di risate e commozione, improvvisazioni al limite del surreale e l’ingresso in scena dei sette finalisti del premio, altrettanti monologhi selezionati tra i 527 concorrenti, i testi interpretati dagli attori, da Alessandro Tiberi e Giorgio Tirabassi, Carlo De Ruggieri, Cristina Pellegrino, Massimo De Lorenzo. E, chiamati subito topo, i sette – Giulio Areni, Camilla Boncompagni, Ernesto Dejana, Francesco Garofalo, Filippo Maria Macchiusi, Francesco Miluzzi e Chiara Miolano – si sono raccontati al pubblico, i curricula autoironici indagati spudoratamente nelle interviste di Geppi Cucciari – come sempre Perfetta – insieme a Valerio Mastandrea, che ha fatto irruzione in jeans e maglione “pensavo che Viterbo fosse un quartiere di Roma, ci sono volute due ore e mezzo”, e a Valerio Aprea, motore organizzativo della serata.

Tra momenti esilaranti, qualche corto circuito surreale e allegri battibecchi (Cucciari racconta di grandi scontri nella giuria), quello più commovente è stato l’avvio della serata con le parole di Francesca Rocca, Fru per gli amici, moglie del commediografo e regista che ci ha lasciato il 19 luglio del 2019. Un discorso intimo e universale, il suo, anche politico: del resto la frase scelta per lanciare questa edizione è “La gentilezza è l’ultimo atto davvero politico che ci rimane”. Si parla della Flotilla, delle piazze piene e si annuncia che, all’uscita, il pubblico potrà avere in regalo il libro di Francesca Albanese “un’idea che abbiamo avuto con Pietro Sermonti”. La cantautrice e regista Margherita Vicario, un concentrato di energia, ha letto uno dei monologhi e, molto applaudita, alcuni brani legati alla sua amicizia con Torre, in una dimensione intima che ha mescolato musica e memoria. Il premio è stata anche l’occasione di fare un punto sulla nuova onda di comicità con i due co- autori e amici del cuore di Mattia Torre, Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico.

Cucciari, Mastandrea, Aprea: “Nel mondo leggero e profondo di Mattia Torre”

527 monologhi: un’onda di scrittura giovane

L’onda creativa che ha risposto alla chiamata del Premio è stata sorprendente: 527 monologhi comici arrivati da tutta Italia. “Un numero altissimo, che non ci aspettavamo», racconta Luca Vendruscolo, giurato insieme a Giacomo Ciarrapico, Valerio Aprea, Valerio Mastandrea e Geppi Cucciari. “È la prova che c’è un enorme bisogno di concorsi come questo, di occasioni di visibilità per chi scrive. Mattia stesso aveva trovato un trampolino in un concorso negli anni Novanta: l’idea è che questo premio possa diventare un punto di riferimento fisso, una piccola istituzione che ogni anno raccolga energie nuove”. Ciarrapico, compagno di tanti progetti con Torre, aggiunge: “Sorprende ancora di più perché c’era un limite d’età: under 35. Eppure sono arrivati tantissimi testi. In molti ho trovato una rabbia enorme, un livore diffuso verso chi è più vecchio e verso un sistema che non funziona. Una rabbia che fa impressione, se pensi che la nostra generazione forse ne aveva meno ma scendeva in piazza molto di più”.

Rabbia, solitudine e disillusione

Le due voci, quelle di Vendruscolo e Ciarrapico, si intrecciano nel raccontare il sentimento che più emerge da questa nuova generazione di autori: la solitudine. “Molti testi», osserva Vendruscolo, «raccontano la sensazione di essere isolati e senza prospettive. Colgono con precisione lo stato delle cose, ma danno per scontato che non ci sia possibilità di cambiamento. È come se il sogno fosse già considerato impraticabile: inseguirlo significa condannarsi alla povertà, mentre adeguarsi al conformismo consente appena di sopravvivere”. Ciarrapico nota come questa rabbia rimanga spesso confinata in un orizzonte privato: “Molti si lamentano dentro una stanza, davanti a un computer. Noi, con meno livore, portavamo la protesta nelle piazze. Oggi, paradossalmente, è un giorno bello perché la gente torna in piazza, e questo è un segnale”.

Ridere a denti stretti

Il punto cruciale, per la giuria, è stato distinguere tra testi che si limitavano a fotografare la rabbia e testi che riuscivano a trasformarla in scrittura comica. «Abbiamo discusso molto, ci siamo anche scannati», ricorda Ciarrapico. “Alcuni pezzi esclusi dalla finale erano fortissimi. Ma è stato giusto così, perché significa che ci tenevamo e che la qualità era diffusa. I monologhi che più ci hanno convinto sono stati quelli capaci di fare un salto: trasformare un punto di vista nervoso e soggettivo in una scrittura brillante e universale”. Vendruscolo concorda: “Mattia aveva la capacità di partire dal dettaglio minimo per arrivare a parlare a tutti. Lo abbiamo definito il suo salto quadridimensionale: una storia minima che diventava la storia di tutti. È questa universalità che abbiamo cercato nei testi: la capacità di far ridere partendo dal reale, sviluppando un argomento in modo arguto e arrivando a toccare chi ascolta. È la stessa esperienza che avevo con Mattia a teatro: ridevo di un personaggio e poi scoprivo che stavo ridendo di me stesso”.

Voci femminili, ironia corrosiva

Altro dato significativo è la forte presenza femminile, 35 per cento. “Alcuni dei monologhi più corrosivi e graffianti erano firmati da ragazze», spiega Vendruscolo. “C’è una comicità nuova, aggressiva, cinica, che arriva con forza dalle autrici. Non è più un terreno dominato dagli uomini: questa generazione di comiche e attrici brillanti si fa sentire, e con energia”.

Consigli ai giovani autori

Che cosa dire allora a chi ha partecipato? Ciarrapico offre un consiglio diretto: “Nei testi brevi bisogna essere asciutti. Accendere il proiettore su un’idea e analizzarla fino in fondo. Non disperdersi, non cercare di dire tutto. E poi imparare a chiedersi: perché no? È un approccio che a volte libera più di un “devo scrivere questo””. Vendruscolo aggiunge che il lavoro di lettura è stato anche un’occasione per mettersi in discussione: “Noi siamo vecchi, lo dico ridendo ma non troppo. I testi ci rinfacciano questa vecchiaia, e va bene così. Ci ricordano che non bisogna diventare sclerotici, che bisogna ascoltare con onestà”.

La gentilezza e/è la politica

Il premio è lanciato sotto l’insegna di una frase che Mattia Torre amava ripetere: “La gentilezza è l’ultimo atto davvero politico”. “Oggi equivale a parlare di civiltà”, dice Vendruscolo. “Viviamo in un’epoca in cui sembra valere solo la legge del più forte. Non posso credere che l’umanità si riduca a questo. Parlare di gentilezza significa difendere un valore che è costato secoli di fatica. È la bussola con cui abbiamo voluto orientare questa prima edizione”.

Perché Viterbo

Il premio è organizzato dalla famiglia di Mattia Torre con il Tuscia Film Festival a Viterbo. “C’è qualcosa di sintonico», spiega Vendruscolo, «tra questa città e la memoria di Mattia. Viterbo è un luogo che consente di staccarsi un po’ dalla follia romana, dalle solite conventicole, dalle stesse facce che si incontrano sempre a Roma. Qui c’è la possibilità di creare un punto di riferimento nuovo, lontano dalle logiche consolidate”. Per Ciarrapico, la collocazione ha anche un valore simbolico: “Mattia era uno che amava smontare i cliché e cercare spazi laterali, fuori dalle traiettorie più battute. Portare qui il premio significa anche restituire al pubblico un’occasione diversa, un respiro diverso”.

Eredità viva

Al centro resta la figura di Mattia Torre, autore di serie cult come Boris e di testi teatrali che hanno raccontato con disincanto la vita quotidiana e i suoi paradossi. La sua capacità di trasformare il minimo dettaglio in una metafora universale è oggi il criterio guida con cui il premio seleziona e valorizza nuovi talenti. “Quando leggo un testo che riesce a farmi ridere di un altro e poi di me stesso», conclude Vendruscolo, «sento che siamo nel solco di Mattia. È quello che cercava lui: storie che partono dal particolare e arrivano a toccare tutti. Non potevamo immaginare un modo migliore per ricordarlo”.

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