Sesso non protetto, alcol e fumo: perché i giovani stanno rischiando grosso

Stordirsi con l’alcol, uno shot dopo l’altro, passare dalle sigarette tradizionali ai nuovi dispositivi, andata e ritorno, fumando di tutto e cumulando dipendenza, lasciarsi tentare da qualche rapporto sessuale casuale e senza protezioni. Se non è una vita spericolata poco ci manca. Ma chi non è stato giovane e ha fatto almeno una, se non due o tutte quante queste cose? Hai voglia a dire che i giovani si sentono immortali, e se ne fregano dei comportamenti a rischio scrollando le spalle di fronte agli allarmi dei genitori.

Come bevono i ragazzi

Quando i genitori si accorgono dei comportamenti a rischio dei figli e danno gli allarmi, beninteso. In realtà, i ragazzi sanno benissimo che l’alcol come lo bevono loro, a digiuno quasi sempre, uno, due, tre drink, concentrati in qualche ora e magari in un paio di giorni a settimana, fa ancora più male. Un bere compulsivo che mette a rischio la loro salute, persino quella futura, che li fa rischiare incidenti stradali, coma etilico o aggressioni sessuali.

La dipendenza da alcol

Certo non è facile parlare di effetti dell’alcol nella patria dello Spritz, ma Salute non ha timore di affrontare lo spinoso argomento, e per giunta nella sessione del Festival del 10 ottobre, dedicata ad “Avere 20 anni senza paura”, insieme con gli studenti padovani. E lo fa con Anna Teresa Palamara, direttrice del Dipartimento di Malattie infettive dell’Iss, e Giovanni Addolorato, direttore dell’Unità di Medicina interna e patologie alcol correlate della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, che ne ha seguiti tanti di ragazzi dipendenti dall’alcol e di famiglie impreparate a riconoscere e gestire il cataclisma di un figlio che cerca alcolici in tutta la casa, diventa violento a ogni tentativo di controllo, cerca freneticamente di bere e di uscire per bere.

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“Nel nostro ambulatorio di Alcologia – racconta – vediamo oltre 200 pazienti all’anno e un terzo di loro ha tra i 17 e i 25 anni. Giovanissimi, quasi tutti binge drinker. Bevono tanto in poco tempo, in genere nel fine settimana. E nei giorni feriali aggiungono magari una birra con gli amici, finché non diventano dipendenti. Cosa che non ammettono, come non ammettono di avere bisogno di aiuto. L’alcol non serve solo a sballarsi ma a sentirsi “gruppo”, a socializzare e non sentirsi soli. Dovrebbe passare il messaggio che bere non è da fighi ma da sfigati, magari con una bella campagna pubblicitaria. Fare il trasgressivo non vuol dire bere, ma semmai il contrario. Fortunatamente comincia a diffondersi la moda del vino e della birra senza alcol, e questo, forse, perché i ragazzi di adesso fanno il contrario di quello che hanno fatto i padri, che bevevano. Speriamo che la moda sia contagiosa”.

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Che l’alcol faccia male è inutile ripeterlo, ma ci sono categorie per le quali fa ancora più male, come gli anziani e i giovanissimi: i primi non riescono più, e i secondi non ancora, a metabolizzare l’etanolo dell’alcol. Quindi, fino a 18 anni qualunque quantità, anche una birretta, è tossica su tutti gli organi e apparati, non solo sul fegato ma anche sul cervello. “La maturità neuronale avviene nell’età adolescenziale fino a 18-19 anni e si riduce a 21 anni. L’uso di alcol – continua Addolorato – blocca la plasticità neuronale, cioè la trasformazione dal cervello dell’adolescente a quello dell’adulto, per cui se bevi ti rimarrà il cervello di un adolescente”.

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Prevenire è possibile. Cominciando – precisa Silvano Gallus, responsabile del Laboratorio di ricerca sugli stili di vita dell’Istituto Mario Negri di Milano – dalla revoca delle licenze a chi vende alcolici e sigarette ai minorenni. Perché quella del fumo è l’altra battaglia da condurre tra i giovani per evitare che si crei una dipendenza nociva da sostanze. L’amo utilizzato dai produttori è costituito dai nuovi dispositivi a tabacco riscaldato e dalle e-cig. Colorati, trendy, con pubblicità aggressive e cartelloni giganteschi. “Cominciano con le sigarette elettroniche – spiega Gallus – che si nascondono facilmente, non fanno puzzare l’alito, permettono di fare un tiro ogni tanto e sono meno costose dei dispositivi a tabacco riscaldato. Ma inevitabilmente si passa a quelli e persino alle sigarette tradizionali. Diventando dipendenti. Cosa fare? Norme più stringenti, perché dopo la legge Sirchia che credevamo di difficile attuazione e invece ha fatto diminuire in un solo anno i fumatori del 2 per cento, non abbiamo fatto più nulla”.

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Poi è arrivata la legge di Milano, che molte città guardano con attenzione: non si può fumare se si è a 10 metri da una persona, anche all’aperto. “Il divieto vale per le sigarette tradizionali – continua Gallus – ma dovrebbe essere esteso a tutti i prodotti. Così come l’aumento di prezzo: ben venga un aumento di 5 euro delle sigarette tradizionali (in Francia un pacchetto costa 12 euro, da noi circa la metà), ma estendiamolo a tutti i prodotti da fumo, che siano e-cigarette o prodotti a tabacco riscaldato. Prodotti che contengono tabacco e dovrebbero essere equiparati al fumo tradizionale in tutto e per tutto”.

La prevenzione primaria? Non è pop

La parola magica è prevenzione primaria. Costerebbe molto meno prevenire che curare gli effetti della dipendenza da fumo e alcol sulla salute, ma non si fa. E viene trascurata come argomento su cui investire conoscenze e risorse persino dalla comunità scientifica. Nonostante i fattori di rischio legati a comportamenti personali siano responsabili di circa un terzo della mortalità e della morbidità e disabilità complessiva nel mondo, uno studio (italiano) ha analizzato l’interesse scientifico degli studi dedicati alla prevenzione primaria sulle maggiori riviste scientifiche mondiali negli ultimi 30 anni. Un totale di 1128 articoli che hanno trattato il tema fumo (2,8 per cento), l’alcol (1,6 per cento), l’uso di droghe (1,1 per cento), l’eccesso di peso (3,8 per cento) o l’attività fisica (2,7 per cento).

Non ci sono finanziamenti

“Meno del 6 per cento degli articoli si occupa di prevenzione primaria – riflette Gallus – e questo perché la prevenzione non fa mercato e quindi non ci sono neanche finanziamenti per la ricerca, non ci guadagna nessuno se non, per il fumo, chi produce farmaci per smettere di fumare come il bupropione o la vareniclina”.

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E poi c’è il capitolo delle malattie sessualmente trasmesse (Mst): secondo l’Oms, ogni giorno nel mondo vengono contratte più di 1 milione di infezioni a trasmissione sessuale e ogni anno sono circa 374 milioni le nuove infezioni, di cui una su quattro è una malattia sessualmente trasmessa: clamidia, gonorrea, sifilide e tricomoniasi, soprattutto. Si stima inoltre che oltre 500 milioni di persone tra 15 e 49 anni abbiano un’infezione genitale da virus herpes simplex (Hsv) e più di 290 milioni di donne un’infezione da papillomavirus umano (Hpv), infezione per la quale esiste una vaccinazione ormai da anni sia per i maschi che per le femmine. La maggior parte delle malattie sessualmente trasmesse – la cui notifica è obbligatoria – non dà sintomi o presenta solo sintomi lievi.

I dati delle malattie sessualmente trasmesse

Venendo all’Italia, secondo gli ultimi dati dell’Istituto superiore di Sanità, relativi al 2023, i casi sono in aumento, con un incremento del 16,1 per cento rispetto al 2021 con aumenti più che significativi per gonorrea (+83,2 per cento), sifilide (+25,5 per cento) e infezioni da clamidia (+21,4 per cento). Ma, differenziando per fasce d’età, si nota la criticità dei giovani: quelli tra 15 e 24 anni mostrano una prevalenza di infezione da Clamidia tripla rispetto a chi è più vecchio, mentre la prevalenza di infezione da Hiv tra chi ha una malattia sessualmente trasmessa confermata nel 2023 è di 12,6 per cento, circa quaranta volte più alta di quella stimata negli adulti italiani.

Come procedere, i consigli Iss

Si può fare qualcosa? Le risposte possono essere parecchie e sono tutte considerate dall’Iss: favorire diagnosi e trattamento precoce con percorsi di cura delle persone a rischio di Mst o già malate; favorire la diagnosi precoce di Clamidia con l’offerta di test in donne giovani anche se senza sintomi, soprattutto se hanno più partner; aumentare l’offerta attiva e i test Hiv tra chi ha una Mst; migliorare il tracciamento dei contatti dei malati e promuovere la terapia anche nel partner, oltre che favorire le vaccinazioni anti Hpv, e contro epatite A e B, aumentare le conoscenze e le attività di informazione ed educare alla salute sessuale attraverso le regole del sesso sicuro, che prevedono l’utilizzo del condom, la riduzione del numero dei partner sessuali, evitare l’uso di sostanze stupefacenti e ridurre l’alcol. Perché alcol, fumo e sesso senza precauzioni sono rischiosi in sé e insieme non aggiungono ma moltiplicano i rischi.

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