Prisoner, la serie carceraria più autentica e coinvolgente degli ultimi anni è in streaming su MYmovies ONE
In un fatiscente carcere della periferia di Copenaghen scatta l’operazione “tolleranza zero”: la direzione non ammetterà più smercio interno di droga, faide tra detenuti e ingerenze di una stampa ostile. Gli agenti Sammi, Henrik, Miriam e Gert per motivi diversi alle prese con solitudine e problemi familiari, hanno tre mesi per attuare il repulisti, pena licenziamento e chiusura del centro.
Per il neoassunto Sammi è l’occasione d’oro per il salto di carriera. Anche Miriam è decisa a restaurare ordine e decoro, ma il veterano Henrik e gli altri vorrebbero mantenere lo status quo tra agenti e prigionieri.
I rapporti di forza pesto, però, si ribaltano: Sammi trova in Beniji, suo amico d’infanzia ora recluso, un informatore, il prezzo della droga sale, l’accordo sottobanco tra detenuti e guardie salta in aria, la violenza deflagra: Miriam finisce sotto ricatto, così come Henrik per un segreto sentimentale che potrebbe distruggerne la famiglia.
Tra detenuti che cercano la talpa e agenti sulle tracce del collega corrotto, il finale promette un climax di violenza, rivelazioni scioccanti ed esecuzioni sanguinose.
Scritto a sei mani da Kim Fupz Aakeson (Un uomo tranquillo e Little Soldier nel pedigree) che adatta il suo romanzo d’origine (Fangeleg, mai uscito in Italia) con Frederik Louis Hviid e Michael Noer qui anche registi, Prisoner è dramma “avvincente sulla complessità del sistema carcerario in Danimarca”, come ha sottolineato Rebecca Nicholson del The Guardian.
Applaudito dalla critica internazionale e premiato in patria (Robert Award for Best Danish Television Series nel 2024) e all’estero (Prix Italia per il miglior dramma televisivo nel 2023), Huset (il titolo originale danese) dopo la competizione ufficiale a CANNESERIES 2023, è ora disponibile in streaming su MYmovies ONE.
La trama segue le vicende dei quattro agenti tra carcere e casa: personaggi prismatici e ambivalenti tutti lacerati dal senso del dovere e oberati dal senso di responsabilità.
Il cast alterna volti noti del cinema scandinavo a giovani promesse, come, ad esempio, l’emergente Youssef Wayne Hvidtfeldt che incarna Sammi; neoassunto nella struttura, è un ragazzo solitario ed emarginato che, per troppo desiderio di affermarsi, si compromette con l’amico d’infanzia incarcerato e la sua fidanzata.
David Dencik, invece, volto d’esportazione del cinema svedese (Uomini che odiano le donne e No time to die), incarna Henrik: padre e marito di una famiglia costretta a vivere in un caravan, in carcere scoprirà un aspetto represso della sua sessualità.
Volto e voce di Miriam è, invece, Sofie Gråbøl – la diva scandinava premio Bafta per l’ispettrice Sarah Lund in The Killing – un’agente brillante e risoluta ma a corto di soldi a causa dei debiti di Asger, figlio tossicodipendente, rinnegato per anni ed ora in cerca di redenzione.
Invece Gert, la veterana del gruppo, capo del personale del carcere, a casa deve accudire il marito affetto da demenza cui ha promesso di evitare in ogni caso la casa di riposo. La interpreta la danese Charlotte Fich, nota in patria per la serie Unit One con un altro ruolo di comando in polizia.
Intorno al quartetto base agiranno Bjarne Henriksen (altra habitué della serialità scandinava), David Dencik (memorabile Gorbaciov di Chernobyl), Laura Christensen e Gustav Giese, rampante caratterista danese specializzato in ruoli action.
Con un crudo realismo senza derive pietiste, in Prisoner il microcosmo circondariale consentirà di sviscerare temi dal portato universale: il rapporto del singolo con il potere come facoltà di prevaricare e schiavizzare l’altro; l’istinto umano alla violenza; le disuguaglianze sociali al tempo del capitalismo; il conflitto tra naturalità dei sentimenti e conformismo sociale; tra idealismo e compromessi; il labile confine tra Bene e Male, tra legalità e illegalità e la tentazione di scavalcarlo per tornaconto personale.
Accanto a ciò in sei puntate da 58 minuti s’indaga la dignità dei reclusi negata da norme repressive e classiste e la questione migratoria che ancora agita l’Europa continentale (a simboleggiarle è Sammi, di madre danese, di padre marocchino).
Anche per questo la regia esibita e sincopata e la scenografia di Farsø e Schwartzberg, unite alla fotografia di Wellstein (già nel reparto cinematografia di The Last of Us) insiste sul degrado, sulle ristrettezze e la durezza della vita tra le sbarre: dietro frequenti primi e primissimi piani si ricorrono muri consunti, scuri spazi cascanti, strettoie opprimenti, luoghi claustrofobici per uno spazio che pian piano diventa un girone infernale.
Il tutto colto da una fotografia incupita e chiaroscurale, cui si aggiunge una colonna sonora minacciosa e altamente tensiva, firmata da Martin Dirkov (suo anche il pentagramma di Holy Spider e The Apprentice – Alle origini di Trump).
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