Sostenibilità nella Gdo: dall’alleanza con l’industria alla prova dei fatti

C’è chi la chiama alleanza, chi la vede come un obbligo, chi ancora come un’opportunità mancata: la sostenibilità nella relazione tra industria e Gdo è tutto questo insieme. Perché sì, oggi qualcosa si muove, i progetti si moltiplicano, i linguaggi si avvicinano, ma resta una fetta consistente di imprese che la sostenibilità la evocano più che praticarla. Eppure è su questo terreno che il mercato si giocherà il futuro: non solo nel modo in cui si produce o si vende ma nel modo in cui si collabora; perché il valore, sempre più spesso, non nasce dall’efficienza individuale ma dall’impatto collettivo.

Dalla teoria alla pratica

L’analisi di Bain & Company, presentata durante il convegno organizzato da Mark Up al Salone della CSR e della responsabilità Sociale, ha fornito una bussola chiara: la sostenibilità è ormai parte del valore, insieme a qualità, convenienza e salute. “Molti elementi chiave dell’impatto ambientale e sociale stanno a monte della catena – ha ricordato Andrea Petronio, senior partner di Bain – , per questo la sinergia tra industria e distribuzione è obbligatoria se si vogliono ottenere risultati concreti”. Obbligatoria, appunto, ma non scontata. Perché se alcune insegne hanno scelto la strada della coprogettazione, altre restano ancorate a un modello contrattuale, più che strategico, nel rapporto con l’industria. Eppure, come mostra Bain nella sua matrice di materialità, i temi più impattanti -decarbonizzazione, benessere, equità- richiedono proprio approcci di filiera, dove ogni attore si assuma la propria quota di responsabilità.

La marca del distributore, leva e laboratorio

La MDD, come ha osservato Matteo Capellini, partner di Bain & Co, “sta ridefinendo la relazione tra produttori e retailer, spingendo entrambi a un salto di qualità”. Ed è vero: la MDD è diventata un laboratorio privilegiato per sperimentare politiche ambientali e sociali più coerenti, proprio perché consente di lavorare a quattro mani sulla filiera. Ma non va confusa con il dialogo, spesso più complesso, con l’industria di marca. Qui la sostenibilità diventa terreno di confronto (e talvolta di frizione) tra obiettivi commerciali e reputazionali diversi. Laddove la MDD costruisce alleanze di lungo periodo, con l’industria di marca la strada è ancora lunga ma comunque intraprese e sarà proprio la capacità di allineare queste due velocità: la sostenibilità “proprietaria” della MDD e quella negoziata dei grandi brand, a determinare la maturità reale del sistema.

Le buone pratiche non bastano

Le esperienze che dimostrano che un’altra strada è possibile ci sono, soprattutto legate alla MDD. Conad, ad esempio, che ha sviluppato il 35% delle proprie vendite attraverso il prodotto a marchio, “ha sviluppato accordi con fornitori che condividono una carta della sostenibilità e strumenti concreti per rendere l’impresa più responsabile”, ha spiegato il presidente Mauro Lusetti. Coop Italia, racconta Sara Caggiati, lavora su “progettualità comuni e dialogo quotidiano con l’industria”, con partnership che spaziano “da LifeGate a Oxfam”, in cui la sostenibilità è anche parità di genere e cultura aziendale. Sul lato brand, Citrus, fondata da Marianna Palella, che alla sua marca accosta collaborazione con fondazioni legate alla salute o all’arte, nasce proprio per superare la logica del prezzo e portare valore all’ortofrutta: “La chiave è la coprogettazione, non la sponsorizzazione”, spiega. E infine Oropan, azienda che ha portato il pane di Altamura sugli scaffali di tutto il mondo, con la sua ceo, Lucia Forte, punta a un modello “rigenerativo” che guarda alla carbon neutrality entro il 2029, forte di 16 certificazioni e di una governance partecipata.

Sono esempi reali, che fanno da contrappunto a un mercato ancora polarizzato: tra chi considera la sostenibilità parte integrante del business e chi la interpreta come un costo o una campagna di comunicazione.

Oltre le parole, la filiera

Il messaggio che emerge è netto: la sostenibilità non è un’estensione della reputazione, ma una nuova architettura del valore. Lo sa bene Bain, che nella sua analisi individua la partnership come leva strategica: dai costi alla salute, dalla resilienza alla decarbonizzazione, solo la collaborazione può abilitare risultati misurabili. Ma la collaborazione, nel retail come nell’industria, non si improvvisa: richiede tempo, fiducia, e soprattutto coerenza.

Perché la sostenibilità non si dichiara, si esercita e non basta un claim per cambiare rotta, è necessaria una visione condivisa, fatta di dati, obiettivi e coraggio. Forse, più che alleanze, servono complicità: quella consapevolezza silenziosa che ogni scelta, dal campo allo scaffale, pesa quanto mille campagne pubblicitarie. Il resto (come spesso accade) è solo packaging.

*direttore di Markup e Gdoweek

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