Parkinson: diagnosi precoce, terapie mirate e sensori per prevedere la malattia
Le malattie neurologiche sono ormai la principale causa di disabilità e la seconda causa di morte in Italia. Oltre 6 milioni di italiani convivono con una patologia del sistema nervoso, con un impatto economico che supera l’1,5% del Pil. Numeri che, da soli, spiegano l’importanza dei risultati scientifici discussi dal 26 al 28 ottobre a Padova durante il Congresso della Società Italiana di Neurologia (Sin). Tra le novità presentate quelle relative alla malattia di Parkinson, il secondo disturbo neurodegenerativo per diffusione dopo l’Alzheimer. In Italia si stimano almeno 300 mila pazienti, ma la curva è in crescita a causa dell’invecchiamento della popolazione. Senza contare che il 10–15% dei casi è a esordio precoce, cioè avviene ben prima dell’età avanzata.
“La causa del Parkinson non è unica – spiega Leonardo Lopiano, responsabile di Neurologia 2 del Dipartimento di Neuroscienze e Salute mentale della Città della Salute e della Scienza di Torino – ma il risultato di una complessa interazione tra geni, ambiente e stili di vita”. Accanto all’età, infatti, pesano l’esposizione a pesticidi, l’inquinamento atmosferico e la sedentarietà.
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Curare prima dei sintomi
Una delle idee più dirompenti emerse al congresso è che le malattie neurodegenerative iniziano anni prima della diagnosi clinica. Il processo neuropatologico può precedere di 5–10 anni la comparsa dei sintomi, come il tremore o la rigidità. “Non siamo ancora arrivati a questo punto, ma ci stiamo lavorando – sottolinea Lopiano -. Se riusciremo a identificare i segni precoci, potremo intervenire prima che la malattia si manifesti e bloccarne lo sviluppo”.
In questa direzione si muove lo studio di fase 3 su prasinezumab, un anticorpo monoclonale anti-alfa-sinucleina, una proteina chiave nella neurodegenerazione tipica del Parkinson. Se i risultati saranno positivi, potremo trovarci di fronte alla prima terapia capace di modificare il decorso della malattia, e non solo di alleviarne i sintomi.
Nuove formulazioni per una vita più stabile
Ma anche sul fronte delle terapie già disponibili arrivano buone notizie.Nelle fasi avanzate del Parkinson, quando i pazienti sperimentano blocchi motori improvvisi, è ora disponibile una nuova formulazione sottocutanea di levodopa, che garantisce un rilascio continuo e un controllo più stabile dei sintomi. In una popolazione selezionata di pazienti, questa terapia si è dimostrata altamente efficace.
Un’altra innovazione è la formulazione sublinguale di apomorfina cloridrato, utile per contrastare rapidamente gli episodi di “OFF”, quei momenti in cui la terapia standard perde efficacia e i sintomi tornano a manifestarsi. “Sono trattamenti che non sostituiscono la terapia di base – spiega Lopiano – ma la completano, migliorando la qualità di vita quotidiana”.
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La sfida della terapia genica
Guardando più avanti, la ricerca comincia a esplorare le prime strategie di terapia genica per i cosiddetti parkinsonismi monogenici, forme rare ma paradigmatiche della malattia. Studi iniziali mirano a correggere direttamente la mutazione responsabile, intervenendo così sulla causa, e non solo sull’effetto. È ancora presto, ma la strada è tracciata.
Sensori e passi nel futuro
Individuare i segni precoci del Parkinson resta una delle sfide più difficili. I sintomi iniziali del Parkinson – alterazioni minime del movimento, sensazioni di instabilità o di lieve malessere – sono spesso troppo sottili per essere colti clinicamente.
Da questa consapevolezza nasce l’idea di usare sensori indossabili per analizzare il movimento e il passo. Il gruppo di Alessandro Padovani, presidente della Sin, Direttore di Clinica Neurologica, Università degli Studi di Brescia, ha avviato progetti in cui questi dispositivi permettono di riconoscere pattern motori anomali, potenzialmente predittivi della malattia. “L’obiettivo è duplice – spiega Padovani – : da un lato, proporre interventi educativi e riabilitativi personalizzati; dall’altro, identificare marcatori digitali che aiutino a valutare l’efficacia delle terapie, anche prima dei sintomi clinici evidenti”.
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