“Anni in testacoda”, poesie dove una vita di soddisfazioni vede ancora forte il fascino del passato
Forse è vero che esiste un tempo per tutto. Per la progettualità, la costruzione, il ricordo e a volte anche il rimpianto per ciò che ci ha visto riuscire o fallire. “Anni in testacoda“ (Fallone Editore), in fondo, sembra proprio questo: l’analisi poetica di una vita in cui il tramonto, a sorpresa, scopre avere battiti di cuore assai simili a quelli della giovinezza, creando un cortocircuito emotivo in cui perdersi e ritrovarsi.
La raccolta di Massimo Cecchini, per certi versi sembra specchiarsi nel percorso narrativo che nel 2023 ha portato il suo romanzo “Il Bambino” a essere candidato al Premio Strega. Come in quel caso la scrittura “non aveva accettato di compromettersi con l’enfasi o il patetico, sapendo essere commovente senza per questo farsi commossa” – come ben rilevato da Renato Minore – così adesso una parola controllata nei minimi dettagli rivela un bilancio di fatti accompagnati da sofferenti possibilità inesplicate.
“Ritrovo sempre passi / che non mossero mai / per un altrove / eppure in quelle impronte vuote / c’è una vita inventata / che ricordo”. Voci e volti familiari sembrano essere “la cura del vuoto”, “zavorre che tu annulli / col fremito d’un sogno salutato”, mentre le storie d’amore che paiono sgranate nel tempo portano a galla frammenti di antiche incomprensioni (“Il tuo bagliore non è smeraldo / ma luce opaca”), in cui l’assenza di parole è l’unica cosa che elimina il conflitto (“eppure io ti avevo…/ nei silenzi pieni / in cui lungo le ossa / correvano autostrade”).
Il percorso di Cecchini si muove nella varietà della struttura dei versi e del ritmo, che sanno agire secondo i canoni del novenario così come nella libertà del frammento. Per questo si ritrovano echi di Leopardi e Montale per arrivare a Cioran e Sereni. Del resto, tutto è un flusso di conoscenza ben percepita (“vedo tutto e capisco / vedo il bello in attesa / e mi convinco / di quanto sia giusto il presente / a un passo dalle stelle”), anche quando rivela impostura (“Il segreto è nella luce radente / quella che a volte gli consente / d’essere ombra lunga / generata da povera cosa”).
Eppure, anche se la vita sembra avergli riservato soddisfazioni (“il presente finalmente grasso”), il fascino del passato sembra attrarlo ancora come luce (“vorrei che quell’imperfezione / mi sia data indietro”). Quanto basta per non sentirsi mai quieto, placato, nonostante nell’ultima poesia si arrivi a percepire, nel rallentamento dei ritmi di vita, la maniera per arrivare alla giusta percezione di un mondo che lucida “finalmente la sua coda di pavone”. Non sorprende, perciò, che in questi “Anni in testacoda” sia facile per tutti riconoscere un frammento di ciò che si era e si è diventati.
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