Annie Ernaux: “L’Europa non può chiudersi e alzare muri”

«In certi momenti della storia, il silenzio è inaccettabile». Annie Ernaux, queste sono le parole che ha pronunciato durante il discorso per il Nobel. Siamo ora di fronte a un momento del genere?

«Sicuramente abbiamo problemi che richiedono soluzioni immediate, non di essere nascosti sotto il tappeto. Ed è importante parlarne ad alta voce, strappando i politici dalla loro condizione di benessere. Il primo di questi problemi è la questione dei migranti, uno scandalo che si trascina da molti anni nella nostra parte del mondo. Per quanto tempo ancora i ricchi Paesi dell’Occidente negheranno alle persone in cerca di rifugi sicuri il diritto a un riparo e la possibilità di iniziare una nuova fase della loro vita lontano dalle guerre o dagli effetti della crisi climatica? Per quanto riguarda i migranti, vorrei essere chiara: i Paesi europei dovrebbero immediatamente porre fine alla vergognosa prassi di respingerli dai loro confini e territori. Noi, i ricchi dell’Occidente, preferiamo chiuderci in noi stessi, circondarci di muri e di barriere, allontanando l’inevitabile. L’Europa teme soprattutto di perdere il suo status, di non essere più il continente ricco, la patria dei bianchi benestanti. Sta perdendo la sua anima sotto i nostri occhi, si sta facendo conquistare da movimenti di estrema destra che riescono solamente a spaventare le persone e a rivendicare il sostegno a soluzioni radicali».

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Da qualche tempo è in atto una crisi umanitaria anche al confine tra Polonia e Bielorussia. Il governo precedente ha deciso di costruire un muro e delle barriere di filo spinato. Si è parlato molto di «difesa dell’Europa e della cristianità».

«Questa è una politica basata sulla paura. Le persone che si comportano in questo modo hanno paura del futuro, non hanno idea delle sfide che dobbiamo affrontare e semplicemente non sono adatte a governare. La prospettiva di società aperte spaventa, ed è solo attraverso esse che potremo sopravvivere. La destra preferisce fingere che il problema non esista, perché non è in grado di offrire alcuna soluzione sensata, e cerca di scappare al fronte. La realtà, però, ci raggiungerà tutti».

La nostra vita fatta a macchie, il racconto di Annie Ernaux

Viviamo in due, o forse addirittura in più realtà parallele. In Francia, il diritto all’aborto è stato iscritto nella Costituzione, negli Stati Uniti è in corso una nuova battaglia per il diritto all’aborto nei singoli Stati…

«Il diritto all’aborto conferisce alle donne il potere sulla propria vita. Possono decidere del proprio corpo. Possono anche scegliere da sole se e quando vogliono partorire. Pertanto, si pone in netto contrasto con quanto predicato dal clero di varie religioni, fautore dell’oggettivazione della donna, della sua subordinazione all’uomo. Il tema dell’aborto è in realtà una storia di paura nei confronti di una forza che spaventa gli aderenti all’ordine mondiale conservatore. L’aborto è libertà, la sua proibizione è crudeltà e privazione della libertà di un’enorme parte della società. Nessuno mi convincerà mai che la questione possa essere vista in altro modo».

Aborto nella Costituzione, voto storico in Francia. Ma è scontro col Vaticano

Lei ha pubblicato “L’evento” venticinque anni dopo la legalizzazione dell’aborto in Francia. Con questo libro, la storia di una aspirante studentessa che decide di sopravvivere a tutti i costi nel suo nuovo ambiente e di non tornare alla sua vecchia vita, al mondo da cui era fuggita, ha infranto un tabù?

«Ho lavorato a questo libro per vent’anni. E sì, la sua pubblicazione ha infranto un tabù. Perché, nonostante l’aborto fosse già accessibile, le donne francesi continuavano a tacere. La sigla IVG, acronimo di interruzione volontaria di gravidanza, ancora oggi ampiamente utilizzata, si era affermata. Mancavano nello spazio pubblico voci che testimoniassero l’inferno al quale, per anni, noi, le nostre sorelle, figlie, madri o nonne eravamo state costrette. Ritenevo che questa condizione non fosse mai stata descritta in modo sufficientemente accurato, così ho deciso di raccontare la mia storia. In modo che tutti capiscano esattamente cosa sia l’aborto per una donna e perché solo lei abbia il diritto di prendere questa decisione. E affinché tutti lo ricordino bene».

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Lei è riuscita a essere estremamente onesta. “L’evento” è la storia delle persone che hanno deciso di aiutarla, ma è anche una descrizione accurata e cruda di ciò che le è successo prima e dopo l’intervento. È stato difficile scrivere di questa storia?

«No. Stavo raccontando il mio passato, ma più importante era il compito di scrittura che mi ero prefissata: trasmettere la realtà francese dell’epoca in modo chiaro e comprensibile. Con questo libro non volevo risolvere nulla con me stessa o con lo Stato, volevo che fosse un monito. Se non guardiamo abbastanza da vicino la realtà e non ci preoccupiamo di preservare i diritti civili fondamentali, basterà un’elezione e tutto andrà a rotoli».

Il mio Nobel è vendetta

C’è qualcosa di cui si pente oggi, a distanza di decenni, delle scelte che ha fatto e di cui ha scritto?

«Sì. Sono stata ingiusta nei confronti di mio padre. È una cosa di cui mi pento e che non avrò più l’opportunità di cambiare, non potrò più riparare il nostro rapporto. Lui rappresentava tutto ciò da cui volevo fuggire fin dall’adolescenza. Non leggeva libri, si esprimeva in una lingua, anzi in un dialetto specifico di quella parte della Normandia da cui provengo, era un uomo semplice. All’epoca mi vergognavo molto di lui, non capivo le sue scelte. Il fatto che io abbia commesso l’errore di allontanarmi radicalmente da mio padre, tuttavia, non significa che mi penta di qualcosa quando penso al mio lavoro. In me c’è ancora un irrefrenabile desiderio di scrivere; non posso vivere senza. Finché ne avrò la forza, ho intenzione di continuare questa auto-archeologia. E non ho idea di dove mi porterà. Forse, del resto, quello che sta accadendo oggi all’Europa è accaduto anche a me?

Ad esempio, si parla sempre meno della guerra in Ucraina, delle sofferenze inflitte da Putin. Ci siamo abituati, probabilmente molti si sono stancati dei resoconti che arrivano da un fronte apparentemente lontano. Ritengo che questa guerra sia una delle più grandi minacce per il mondo moderno. E confesso che sono una grande pessimista. Ci sono politici che dicono apertamente che la Russia è una potenza e che bisogna fare i conti con lei. Sono dei codardi. E presto ci saranno voci che chiederanno un “compromesso”. E questo sarà sfavorevole per l’Ucraina. Ancora una volta, potrebbe succedere che questa Europa, apparentemente fantastica, ma piena in realtà di slogan vuoti, volti le spalle per la propria tranquillità. E se dovesse accadere ciò che temo di più, cioè il ritorno al potere di Trump, potrebbe semplicemente non esserci più salvezza per tutti noi».

© Gazeta Wyborcza / Lena — Leading European Newspaper Alliance.

(Traduzione di Simone Bergalla)

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