“Il barbiere” di Marco Faccio, l’assassino che odia tutti gli influencer

Un giustiziere della rete, una specie di Joker del web che si vendica online, prendendo di mira «la travel blogger che non ha mai preso un volo in economy e che scoprirà viaggi da cui non si torna; il comico che non ha mai fatto ridere veramente nessuno e trasforma il dolore degli altri in views; e la regina della moda che vende fumo e sogni a ragazze che si indebitano per assomigliarle». Si chiama Leonardo Vicini e vive a Torino il protagonista de Il barbiere (edizioni Read Red Road), thriller psicologico di Marco Faccio, pubblicitario anche lui torinese, pioniere dei social in Italia, forse per questo con il dente particolarmente avvelenato contro gli influencer. Premiato per il suo lavoro da copywriter anche al festival di Cannes, Faccio ha già pubblicato Il Mostro di Procida, Spaccacuori e Nero.

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Anche stavolta con la verve dei suoi testi pubblicitari scrive una storia in cui dà sfogo alla sua anima nera, inventando un serial killer dall’aspetto innocuo e dalla storia banale, ma capace di efferata crudeltà, di maniacale dedizione ai suoi progetti di sangue. Niente della descrizione caratteriale fa immaginare l’epilogo. Leonardo è un barbiere all’antica, il negozio polveroso, le poltrone vecchie. Ha 53 anni, pochi capelli, un leggero sovrappeso e nessuna espressione particolare, tranne un’aria depressa perché le trasmissioni tv a cui si candida lo ignorano. A differenza dei protagonisti degli altri noir, non ha una vita privata, non sembra interessato al sesso, è una persona solitaria, anonima e nessuno penserebbe mai che possa far male a una mosca, nemmeno i clienti e i negozianti che lo incontrano regolarmente.

Ma lo sottovalutano. Leonardo dalla defunta madre ha ereditato la passione per le piante e la conoscenza dell’uso dell’acconito, rara erba medicinale dagli effetti devastanti. Questo gli sarà utile per farsi giustizia in un mondo da cui si sente escluso, braccato da Vittoria Gualtieri, una magistrata che brancola nel buio, e da Pietro Abbà, un giornalista che gli lancia sfide attraverso gli articoli.

La storia pagina dopo pagina sciorina le idiosincrasie per il mondo patinato degli influencer da decine di migliaia di follower, che costruiscono sogni sulle fondamenta effimere della fama digitale. Un mondo finto che il barbiere dai modi anodini finirà per gettare nel panico con una serie di omicidi mirati, diventando lui stesso il protagonista di uno spericolato gioco online, Social Death: «Chi perde muore. Non ci sono pause pubblicitarie. Non si può abbandonare il gioco. Il Presentatore è anche la giuria».

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Il libro è una satira feroce sui creator dai nomi assurdi, che il protagonista disprezza: «Dicevo che non sempre chi ha successo se lo merita davvero. C’è gente che ha studiato una vita, che ha imparato un mestiere con pazienza e poi arriva qualcuno con un telefonino e diventa famoso dall’oggi al domani». Il barbiere mastica amaro nella sua vita routinaria e immagina la vendetta, geloso del palestrato influencer che macina like «come se sollevare pesi in una palestra di lusso fosse una battaglia».

E così il barbiere invisibile mette in piedi uno show in streaming nel quale mostra il suo fantasmagorico progetto di ribaltamento dei ruoli, promettendo la morte in diretta dei suoi nemici virtuali. Le indagini sono faticose perché Leonardo è noioso ma scaltro nei suoi preparativi letali e usa un account creato utilizzando una rete di Vpn sovrapposte, diventando imprendibile come un fantasma attraverso cento specchi. «C’è qualcosa di profondamente disturbante nel modo in cui tutti noi – media, social network, pubblico – abbiamo partecipato a questo macabro show. Abbiamo guardato, commentato, votato. Abbiamo trasformato l’orrore in hashtag, la morte in entertainment. Leonardo ci ha fatti partecipi della sua follia, in qualche modo ci ha trasformati, come ha trasformato in assassino un povero uomo disperato».

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