Il mistero Pasolini spiegato dal suo cinema a cinquant’anni dalla morte
L’opera di Pasolini è «una enorme galassia caratterizzata da una polifonia straripante». Così la definisce Ennio Bìspuri nel suo altrettanto straripante saggio sul regista di Accattone e Mamma Roma. Per comprendere compiutamente PPP occorrerebbe infatti immergersi anche nell’attività poetica, politica, giornalistica, teatrale, narrativa, pittorica e altro, mentre Il cinema tragico di Pasolini (quasi 600 pagine in uscita da Bulzoni con prefazione di Roberto Chiesi e introduzione di Vito Zagarrio) analizza il solo comparto cinematografico. Ma non si limita a farlo con la prevedibile disamina cronologica delle opere, che occupa comunque la seconda parte del volume: tutta la prima è devoluta a un inquadramento generale del cinema di Pasolini, espressione di un sentimento tragico della vita da parte di un artista che fu sempre, per usare le parole di Oriana Fallaci, «innamorato della morte».
La scomparsa violenta a Ostia non c’entra, e il libro sceglie giustamente di non inerpicarsi sul suo mistero, ma è chiaro che nella visione funebre e apocalittica dell’artista, una vera e propria «necrolatria» come la definisce lo studioso, la morte del fratello partigiano a Porzûs deve avere avuto un ruolo importante; e andrebbero aggiunti l’ostracismo e gli attacchi subiti in quanto omosessuale, oltre ai rapporti conflittuali col padre fascista. Ma alla fine le opere devono bastare a se stesse, i collegamenti dovrebbero servire a far luce su qualcosa che sia già in grado di abbagliare. Solo che con PPP la congerie di riferimenti è potenzialmente infinita: Bìspuri individua consonanze con Nietzsche, Pound, Caravaggio, Testori e Visconti, non dimenticando che il termine “sineciosi” (la coabitazione di elementi ossimorici) fu coniato da Franco Fortini proprio per Pasolini, a indicare la complessità di una produzione peraltro sovrabbondante (Fofi, che di Pasolini fu collaboratore ma anche critico, non aveva esitazioni a definirlo un «grafomane»).
“Siamo tutti in pericolo”: quello che Pasolini aveva capito
Nei suoi film la prima contraddizione, che è anche il segno distintivo di uno stile tanto inconfondibile quanto imitato, è la conciliazione fra realismo e “cinema di poesia”, dove l’artificiosità della forma non perde di vista la concretezza del contenuto, e la sacralità dell’inquadratura riesce conciliarsi con il realismo, dotato o meno del prefisso “neo”.Tra le sue pellicole, Bìspuri predilige il mediometraggio La ricotta. Probabilmente il miglior Pasolini è anche il più conciso, come nel caso del sublime Che cosa sono le nuvole?, che fu il testamento cinematografico di Totò. Al rapporto con il principe de Curtis, Bìspuri dedica fra l’altro alcune pagine, scagliando fulmini sui detrattori del Totò pasoliniano; di tutte le collaborazioni, quella di PPP con Totò fu in effetti la più feconda e stupefacente, e se l’attore non fosse scomparso nel ’67, quel connubio avrebbe dato vita a nuove inimmaginabili meraviglie.

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