“Le enormità di Violante”
Non lascerei passare inosservata l’enormità della dichiarazione di Luciano Violante riportata nel titolo dell’intervista di Annalisa Cuzzocrea per Repubblica, 10 luglio: “Non dirò mai chi mi convinse che Sofri era colpevole”.
Prima di commentare un così drastico proposito, osservo che Violante parla di “convinzione” e di “opinioni”: ma allora parlò della fonte di una “prova non ostensibile”. Della “prova” della mia colpevolezza. Quanto alla sostanza. L’omicidio di Luigi Calabresi avvenne nel 1972, 53 anni fa. L’imputazione mia e dei miei compagni avvenne nel 1988, 37 anni fa. Da allora, non ho fatto che proclamarmene non colpevole. Fortunosamente, siamo ancora vivi. Violante può dire poche parole e chiudere definitivamente la questione, dimostrandomi, oltre che mandante di omicidio, mentitore. E non lo fa perché “una persona lo vincolò alla riservatezza”? (E a sua volta non lo fa “la persona”?).
Luciano Violante: “Non dirò mai chi mi convinse che Sofri era colpevole”
In questo tempo supplementare di discussione, c’è una differenza, un’ennesima, fra me e Violante. Io so che non può esistere alcuna “fonte”, alcuna “prova”, della mia colpevolezza. Posso tranquillamente invitare Violante, come ho fatto – “sfidare”, direbbe qualcuno più eccitato – a dire quello che crede di sapere. Lui si ripara dietro un riserbo, generico, non professionale: non è un sacerdote legato al vincolo confessionale, né ad alcun segreto d’ufficio. La conclusione mia, e di chiunque ne ragioni, è che (a meno di pensare che Violante non abbia mai ricevuta alcuna “prova” da alcuna “fonte”, e sia lui stesso la fonte della prova) abbia ricevuto a suo tempo, più di 35 anni fa, una qualche confidenza fatta passare per “prova” – da un suo ex-collega magistrato, da qualche altro inquirente, qualche sodale, per usare il suo linguaggio, di partito? – e si sia reso conto, prima o dopo, che si era trattato di una bufala. E perciò, ancora oggi, a maggior ragione oggi, “non ostensibile”, nemmeno dopo il mio gentile invito.
Forse Violante, nell’intervista, ha confuso due circostanze. Lo aiuto, come posso. Come mi hanno detto persone che hanno nome e cognome. A consegnargli una lettera – non “a chiederne la firma” – andarono Marek Edelman e Lisa Giua Foa. Edelman (1919-2009) era stato nel 1943 il leggendario vicecomandante della rivolta del ghetto di Varsavia, e sempre poi uno strenuo militante per la libertà. Ne ero diventato amico in Polonia prima e durante il movimento di Solidarno??. Non occorre che dica chi era Lisa Giua Foa (1923-2005). Erano accompagnati dai loro amici e traduttori Rudi Assuntino e Wlodek Goldkorn. Violante era allora Presidente della Camera, dunque si era dopo il 1996. A loro Violante disse di credermi colpevole, non venne fatta parola della “prova non ostensibile”. (Io allora non ne seppi niente, e me ne sarei dispiaciuto).
Adriano Sofri: oggi chiedo solo di sapere il nome di quella “fonte non ostensibile”
In un periodo molto precedente, compreso il 1993 menzionato da Violante, Enrico Deaglio, noto giornalista e scrittore, oltre che mio amico, e nel 1994 conduttore della trasmissione tv “Milano Italia”, era specialmente impegnato su questioni di mafia. Aveva, come molti giornalisti, una frequentazione assidua con Violante, allora presidente della Commissione antimafia. In un colloquio gli chiese conto della “prova non ostensibile” di cui era andato parlando. È più che probabile che sia Deaglio il mio “amico, sodale” che, secondo Violante, gli chiese una firma “per la mia innocenza”, e cui avrebbe risposto di avere “una fonte, che non poteva rivelare, che aveva consolidato la sua convinzione”.
Le cose stanno alla rovescia. Fu Deaglio a interrogarlo sulla vociferazione della “prova non ostensibile”, che era già ampiamente circolata. E non gli chiese nessuna firma sulla mia “innocenza”, che oltretutto sarebbe stato ridicolo, a uno che assicurava di disporre della “prova non ostensibile”. C’è un contesto. In quel 1993 si tenne un nuovo processo rinviato in appello. Avevo rifiutato di partecipare, venendone coinvolto per l’effetto di “traino” dell’appello dei miei coimputati. Si concluse con l’assoluzione di tutti per non aver commesso il fatto, e la dichiarazione di inattendibilità dell’accusatore Marino. In quel 1993, i carabinieri impegnati nel nostro caso sostenevano che Mauro Rostagno fosse stato ucciso dai suoi sodali, da noi. Siamo a questo punto. Francesco Merlo si era fatto latore del mio desiderio di conoscere la prova non ostensibile di Violante. Annalisa Cuzzocrea, per la Repubblica, lo ha interpellato ottenendone la dichiarazione imperitura: “Non dirò mai…”. Mi atterrei al buon senso: mai dire mai.
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