Lorenzo Mattotti: “Il mio Gulliver profeta e libero”

C’è un viaggio, dentro I viaggi di Gulliver, che si fa con le matite, a cavalcioni dei colori. Quante volte è stato dipinto e interpretato questo super classico dell’equivoco, questo finto libro per bambini che è un vero abisso anche per noi oggi, tre secoli dopo le visioni e le ironie di Jonathan Swift. Un maestro come Lorenzo Mattotti, tra i più importanti illustratori al mondo, ha deciso di avventurarsi nell’impresa per Einaudi, sulla scia della nuova, mirabile traduzione di Anna Nadotti. E se ne vedono, alla lettera, di tutti i colori.

Perché proprio Gulliver?

«Mi affascinava la scommessa di sentirmi libero, o almeno provarci, cercando una nuova prospettiva. Il testo lo conoscevo più o meno come tutti, cioè il capitolo sui lillipuziani e poco altro, ma è bastata qualche pagina per incontrare blocchi di narrazione anche complicati, e poi le città galleggianti e volanti, i cavalli che parlano e gli uomini bestie, un’esplosione di fantasia che mi ha condotto a più miti consigli grafici: mi sono mantenuto anch’io sul classico».

A occhio sembra però un tripudio di tinte mediterranee, una fantasmagoria inquietante.

«Intanto ho usato una tecnica per me abbastanza inusuale, cioè gli inchiostri a colori più degli acquerelli. Ho seguito la strada di un lavoro aperto, per un libro che è un laboratorio e che si presterà a nuove aggiunte, a modifiche continue col trascorrere delle varie edizioni. Mi è già accaduto con Pinocchio. Sono movimenti, reinterpretazioni».

I piccoli lettori saranno disorientati.

«Ma Gulliver non è affatto per loro! L’autore teorizzò addirittura di divorarli. Si tratta di un libro denso di riferimenti sociali e politici settecenteschi, con tiritere e motti assai complicati da tradurre in frasi e immagini. La cattiveria ironica di Swift è proverbiale: magari, avessimo ancora scrittori così impietosi nel mettere a nudo la malvagità di chi comanda, la cupidigia, la sete di interesse».

Illustrazione dal libro © 2025 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

Gulliver incontra anche sovrani folli. Molto d’attualità, non crede?

«Certe pagine sembrano fatte apposta per Trump e Putin! Purtroppo, la logica dei potenti arroganti e crudeli non cambia mai: ci eravamo illusi che certe figure non tornassero più, io per primo, infatti per sopravvivere scappo nei disegni. E lo faccio nel pieno dei miei dubbi e delle mie contraddizioni: in questo sì, sono maestro».

Ci sono momenti quasi fantascientifici…

«Infatti ho cercato di tenermi lontano dagli stereotipi, però non c’è dubbio che Swift abbia questo sguardo. Penso ai cavalli surreali e raffinatissimi, ma anche a certe divagazioni erotiche e corporali, come quando le gigantesse fanno salire l’omino sui capezzoli, oppure alle minzioni per spegnere incendi e alle defecazioni, alle irregolarità della pelle, alle piaghe e ai foruncoli. Si tenga però conto che all’epoca dell’autore si aveva un concetto ben diverso del volgare. Diciamo che Swift sa scherzarci con indubbio gusto, è uno scrittore libero».

Crede che oggi la censura gli creerebbe delle noie?

«Non lo lascerebbero in pace, e lui proseguirebbe come se niente fosse».

Qual è il senso dell’illustrare un classico?

«Viene una gran voglia di scavarci dentro, il classicone non può essere limitato da uno stile. Semplificare, mai. Ho cercato di arrivare all’immaginario attraverso l’immagine, ho capito che Swift scriveva divertendosi come un matto e ci ho provato anch’io. Non si sfugge al piacere di raccontare, all’enorme potenza evocativa che una figura disegnata o dipinta può raggiungere anche senza ricorrere alla parola. Un mistero che va direttamente al cervello. La felicità di poterlo trasmettere è un contagio che non smette di sorprendermi: ecco, con questo lavoro mi auguro di essere riuscito a trasmettere gioia, non solo capacità artigiana».

Illustrazione dal libro © 2025 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

Il suo Gulliver viaggia in un mare di rosso, di azzurro, di verde, di giallo.

«Alcuni degli itinerari del protagonista sono davvero esotici, sebbene nel cuore di un libro a tratti oscuro e tempestoso, forse persino buio. Il mio Gulliver, però, è mediterraneo e caldo anche quando si dirige in Cina o in Giappone. Il colore racconta sempre uno stato d’animo, e io prima di cominciare non so dove andrò a parare. Può esserci qualche insicurezza nelle fasi di studio e preparazione: mai, però, quando comincio a disegnare».

L’isola che vola è quasi una città invisibile di Calvino: mai pensato di provarci anche con lui?

«Andai vicino a illustrare il Barone Rampante in un lungometraggio animato, preparai numerosi schizzi e bozzetti, poi purtroppo non se ne fece nulla e ci rimasi male. Ma Italo Calvino, positivista visionario, mi è sempre parso perfetto semmai per Pericoli, io non possiedo una mentalità enciclopedica e catalogatrice».

Restando ai classici, ha un sogno da colorare ancora?

«L’Orlando Furioso, la mia grande passione. Confesso di averci pure provato, perché lì dentro c’è proprio tutto, dal fantasy al barocco passando per l’eros».

Swift ama il bestiario fantastico e le metamorfosi: forse, non potevate non incontrarvi prima o poi.

«La metamorfosi è sempre stata una mia musa».

Il suo Gulliver non sorride quasi mai, o è solo un’impressione?

«Ma no, quando osserva la principessa occhieggiando da una finestra si vede che è contento. Poi, è anche vero che lo trattano quasi tutti malissimo, c’è poco da ridere per il povero Gulliver».

In definitiva, per lei cosa significa illustrare?

«Passarsi le storie l’uno con l’altro. Il fumetto, con tutte le sue convenzioni, comincia ad annoiarmi un po’, preferisco l’immagine pura. Davanti al foglio bianco non posso smettere di domandarmi: chi sono io, adesso?».

Il libro – I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift (Einaudi, illustrazioni di Lorenzo Mattotti. Traduzione di Anna Nadotti, pag. 352, euro 26)

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