Palermo, un femminicidio all’università cancellato dal fascismo: 90 anni dopo, la storia di Cetti
Nella città delle commemorazioni che si ripetono quasi ogni giorno, c’è una storia che nessuno conosce, c’è la notizia di un omicidio che nessun giornalista ha mai dato. Eppure è una storia eclatante, anche se risale a novant’anni fa: avvenne un femminicidio all’università. Ma nessuno ne ha mai saputo nulla, perché il fascismo lo cancellò in modo brutale, per ragioni ancora non del tutto chiare. E oggi, il nome di quella ragazza di vent’anni uccisa con tre colpi di pistola viene citato per la prima volta, in un libro: “L’amore in questa città” (Rizzoli) scritto dall’inviato di “Repubblica” Salvo Palazzolo. Lei si chiamava Maria Concetta Zerilli, per gli amici Cetti, era iscritta al secondo anno della facoltà di Lettere, fu trovata cadavere la mattina del 17 settembre 1935 nell’armeria della Coorte universitaria, oggi è un piccolo archivio nella parte posteriore della facoltà di Giurisprudenza.
Ma perché questa storia fu cancellata dal regime? E come è emersa adesso? Per scoprirlo bisogna completare la cronaca drammatica di quel femminicidio, la cronaca mai scritta: fu ritrovato anche un altro cadavere accanto a Cetti Zerilli, era un uomo in camicia nera e stivaloni, Vincenzo Mortillaro si chiamava. «È un caso di omicidio suicidio», si affrettarono a dire i poliziotti. E la giovane venne seppellita in tutta fretta, mentre il padre continuava a dire che l’assassino della figlia e del milite era ancora in libertà e che alcune lettere di Cetti erano scomparse.
Ma questa non è soltanto la storia di una clamorosa censura di regime. È anche una storia di giornalisti, poliziotti e magistrati che non hanno mai smesso di cercare la verità: ed è il filo che lega il passato e il presente di Palermo, dove i nipoti di Cetti Zerilli continuano a vivere. «Questa vicenda ha segnato drammaticamente la storia della nostra famiglia», racconta la signora Rosanna Zerilli, la figlia di Ottorino, il fratello di Cetti. I genitori della giovane furono arrestati quando Mussolini venne a Palermo, quel femminicidio andava cancellato del tutto. Ma perché? In quella stagione terribile, un onesto giudice istruttore provò a fare delle indagini sugli esposti presentati dal padre della giovane: accusavano un gerarca fascista con cui la figlia aveva avuto una relazione. Anche un cronista del “Giornale di Sicilia”, Nino Marino, fece delle indagini, ma non scrisse mai nulla di questo caso, neanche dopo la guerra. Forse, perché quel gerarca sospettato del delitto e anche i poliziotti che avevano depistato le indagini avevano fatto carriera nell’Italia repubblicana? È un’ipotesi concreta, adesso accreditata dagli atti che riemergono dall’archivio di Stato di Palermo.

Il suicidio della camicia nera Mortillaro non convinceva affatto il giudice istruttore Nicola Franco: com’è possibile che si fosse ucciso con due colpi di pistola? Anche il medico legale aveva pesanti dubbi. «Qualcuno ha ucciso mia figlia e Mortillaro — insisteva il padre — e poi ha costruito una messinscena». E dov’erano finite le lettere di Cetti al gerarca? «Lettere in cui mia figlia minacciava di denunciarlo — scriveva ancora il padre — perché aveva scoperto che stava per sposarsi».
Prima di morire, nel 1971, il cronista Nino Marino affidò la storia che non aveva mai scritto a un collega, Aurelio Bruno. Ma neanche Bruno scrisse mai nulla. Però, vent’anni fa, raccontò di quel femminicidio a Salvo Palazzolo, invitandolo a fare delle ricerche: «Sembra che all’epoca arrivò a Palermo un pezzo grosso del partito fascista — avvertì — per chiudere definitivamente questa vicenda». Ora, le carte ritrovate all’archivio di Stato di Palermo raccontano che all’epoca la polizia sequestrò alcune lettere d’amore di Cetti: sono piene di sottolineature, sulle parole “baci” e “carezze”. Per il procuratore generale, che sollecitava il giudice ad archiviare, sono «indice del carattere facile di lei». Un depistaggio perfetto, dopo aver messo la vittima sul banco degli imputati. Dice la signora Rosanna: «Anche la voglia di vivere di Cetti fu messa sotto accusa dal regime». Al punto di cancellare il nome di una ragazza. Fino a ieri.
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