Scopri con Repubblica la formula segreta del grande Simenon

C’è un mistero irrisolto dietro il fascino che Georges Simenon continua a esercitare su vecchie e nuove generazioni di lettori a più di vent’anni dalla scomparsa e a quasi un secolo dall’esordio narrativo. Il segreto di una formula sulle cui tracce si sono mossi grandi ammiratori del calibro di André Gide. Gide considerava Simenon uno dei grandi autori del Novecento, la cui importanza e influenza non si esauriva nelle peregrinazioni del commissario Maigret lungo la Senna, negli atri dei lussuosi alberghi battuti dai superstiti di un’aristocrazia agonizzante o nei minuscoli e tristi interni di Rue Picpus, dove servette sfiorite si concedevano per pochi spiccioli a inquieti borghesi. In un’intervista del 1955 a Carvel Collins, professore di Harvard e massimo esperto di Faulkner, Simenon rievoca un incontro con Gide, già autore riverito e consacrato. È Gide a chiedere a un editore di metterli in contatto. Si vedono a un cocktail. Per due ore Gide tempesta Simenon di interrogativi. «In seguito» racconta il padre di Maigret «lo vidi a più riprese, e mi scrisse quasi ogni mese, forse più spesso, sino alla sua morte (dunque per quindici anni, ndr), sempre per pormi delle domande. Quando andavo a fargli visita, vedevo sempre i miei libri ricoperti di tanti e tanti appunti nei margini tanto che sembravano quasi più dei Gide che non dei Simenon. Non facevo commenti in proposito. Ero troppo timido». Ma poi aggiunge: a Gide interessava comprendere il meccanismo della mia “creazione”. Stessa curiosità manifestata da un altro insigne intellettuale dell’epoca, il filosofo conte von Keyserling. «Mi scrisse e mi chiese di fargli visita a Darmstadt. Ci andai e mi fece domande per tre giorni e per tre notti. Mi venne a trovare a Parigi, dove continuò a interrogarmi e a commentare ognuno dei miei libri… mi chiamava “un imbecille di genio”».

Sono i lettori l’ultimo caso di Simenon

Ma esiste davvero una “formula Simenon”? Nella stessa intervista, Simenon svela un piccolo segreto di bottega. Dice di essersi ispirato a un consiglio ricevuto agli inizi di carriera da Colette, che gli aveva bocciato un paio di racconti giudicandoli “troppo letterari”. Per “letterario”, precisa, si intende «aggettivi, avverbi, e tutte le parole che sono lì solo per produrre un certo effetto». Per seguire il consiglio di Colette, si dedica così a tagliare «ogni frase che è lì solo per la frase. Quando si ha una bella frase, si deve tagliarla. Ogni volta che trovo una cosa di questo tipo in uno dei miei romanzi, devo tagliare». E certo la sua penna è affilata, le sue trame scorrono, il senso del ritmo tocca vertici spasmodici.

Simenon, un cronista nel cuore buio dell’Europa

Queste sono considerazioni che potrebbero estendersi a una pluralità di scrittori, molti dei quali baciati da un più o meno lungo periodo di popolarità, salvo poi essere dimenticati. Simenon appartiene a una diversa categoria. Per usare la definizione di Pierre Lemaitre, è “l’eterno”. Non basta la padronanza tecnica a giustificarne l’eccezionalità. Deve esserci qualcos’altro, se uno come Daniel Pennac, commentandone la morte, si accorge di non averlo mai letto: «non è questa la cosa più incredibile dell’epopea di Simenon? Che un autore di cui non hai letto una riga ti risulti così familiare?». In Simenon convivono due autori. Il creatore del commissario Maigret, e lo scrittore di tanti altri romanzi che definiamo “duri” o “puri”, o entrambe le cose.

Amava la definizione di romanzi “non commerciali”, laddove commerciale significa ricco di concessioni a un pubblico da compiacere: l’idea che la vita sia tranquilla, un lieto fine posticcio, una qualche sistemazione morale o filosofica che ci mandi a nanna contenti. Tutto ciò che il romanzo puro o duro non è. Come altri autori il cui successo è legato a un personaggio carismatico (vedi Conan Doyle con Sherlock Holmes), a un certo punto, stanco di essere etichettato, manda in pensione Maigret e punta al prestigioso premio Goncourt. Ma alla critica non va bene: troppo popolare il commissario per essere “alto”, troppo ambiziosi gli altri romanzi per essere scritti da un giallista. Con buona pace dei detrattori, comunque, continuiamo a venerare Simenon. Quanto alla domanda sulla formula, è destinata a restare senza risposta. O, meglio: a ciascun lettore il suo Simenon, la sua interpretazione, il suo momento di esaltazione, brivido, dolore o divertimento. La collezione che Repubblica propone è un’ottima occasione per ritagliarsi un proprio Simenon: nei venti titoli convivono, infatti, racconti di genere (fra le altre qualità, Simenon è uno dei rari romanzieri che eccellono nel passo breve del racconto) e incursioni nel lato oscuro degli esseri umani. Sarebbe interessante leggere i romanzi qui presentati con attenzione ai temi profondi trattati.

John Simenon: “Tutto su mio padre, molto più avventuroso di Maigret”

L’abisso che inaspettatamente si spalanca davanti a un uomo qualunque e ne sconvolge l’esistenza, salvo rendersi conto che non esistono “improvvisi”, ma che le radici del male sono da tempo impegnate in un logorante lavorio sotterraneo (Le campane di Bicetre, Il pensionante). L’amore tossico e distruttivo: La scala di ferro, La porta, La prigione, La fattoria del Coup de Vague, che sembra anticipare un tema oggi cruciale, quello dei guasti del patriarcato. L’ossessione della famiglia: ne I fratelli Rico, molto amato da Simenon, e ne Il fondo della bottiglia, attraverso rivisitazioni del mito di Caino e Abele, rivive la tragedia del fratello collaborazionista a cui consigliò, per scampare a una condanna capitale, di arruolarsi nella Legione Straniera, dove trovò la morte.

Tutti piccoli, indimenticabili romanzi che l’autore rivendicava orgogliosamente a chi gli chiedeva quando avrebbe scritto il Grande Romanzo: «Il mio grosso romanzo è il mosaico di tutti i miei piccoli romanzi».

La collana

I capolavori di Georges Simenon è la nuova collana in venti volumi in edicola con Repubblica ogni giovedì a 9,90 euro oltre al prezzo del giornale e sul nostro bookshop. Si comincia oggi con Delitto impunito e poi, di settimana in settimana, la collana diventa un’occasione per scoprire o riscoprire alcune delle migliori opere del papà di Maigret, scelte tra quelle in cui non compare il suo iconico commissario. Di questa serie fanno parte infatti i cosiddetti romans durs, i più apprezzati dalla critica e notoriamente amati dallo stesso scrittore, che li scelse per mostrare virtù, ma soprattutto vizi, della società. Alternando i romanzi con alcune raccolte di racconti, la collana ci accompagna alla scoperta del proverbiale stile essenziale e tagliente di Simenon, delle trame coinvolgenti e delle sue inconfondibili atmosfere.

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